La pioniera delle arti performative ritorna lì dove – quasi – tutto ebbe inizio: aprirà il 16 marzo 2024, allo Stedelijk Museum di Amsterdam, la mostra personale più completa dedica a Marina Abramovic. In esposizione 60 opere chiave, a partire dai primissimi lavori, quelli realizzati all’Accademia di Belle Arti di Belgrado e nella città olandese, dove si trasferì a metà degli anni ’70 e incontrò Ulay – che sarebbe diventato il suo compagno d’arte e di vita -, fino agli ultimi progetti.
La mostra terrà traccia, dunque, del lungo percorso della pluripremiata artista, conosciuta in tutto il mondo per le sue opere intensamente sfidanti, attraverso le quali ha orientato temi, modi e linguaggi della performance. «Esistono tante forme d’arte diverse, la performance è una delle più difficili, delle più intangibili e delle più reali», così Marina Abramovic commenta la sua ricerca.
Oltre alle registrazioni di performance leggendarie, alle fotografie e ai video, saranno rimesse in atto dal vivo quattro iconiche performance eseguite per la prima volta nei Paesi Bassi: Art Must Be Beautiful, Artist Must Be Beautiful (1975), Imponderabilia (lavoro con Ulay) (1977), Luminosity (1997) e The House with the Ocean View (2002). Inoltre, i visitatori potranno partecipare in prima persona a due opere: Work Relation (opera con Ulay) (1978) e Counting the Rice secondo il Metodo Abramović. La mostra è stata curata in stretta collaborazione con la stessa Marina Abramovic e con la Royal Academy di Londra, che ha appena ospitato quella che è stata la più grande esposizione dell’artista mai organizzata nel Regno Unito (ce ne parlava la stessa artista in questa intervista).
«Quando ho assunto la carica di direttore, per me era chiaro che lo Stedelijk avrebbe dovuto presentare una rassegna sul lavoro di Marina», ha commentato Rein Wolfs, direttore del museo di Amsterdam dal 2019. «Marina non solo ha contribuito in modo determinante allo sviluppo della performance d’arte, che ha trovato nello Stedelijk la sua prima sede, ma ha anche molti legami con Amsterdam. Dopo la grande mostra sull’opera di Ulay nel 2020, apriamo ora con orgoglio le porte del museo a Marina Abramović, il cui legame con lo Stedelijk è di lunga data e di grande importanza. Le riproduzioni di performance storiche mantengono viva la sua opera, per noi e anche per le generazioni future».
Amata e contestata, osannata e dibattuta, Marina Abramovic ha determinato un cambio di paradigma nella pratica artistica, mettendo al centro il corpo per testarne i limiti, in ogni senso e al di là di ogni compromesso. Nella sua pratica, che è diventata un vero e proprio metodo – con tanto di cerficazione –Marina Abramović usa il suo corpo in modi diversi: il corpo dell’artista, il corpo sociale e il corpo spirituale. Queste forme sono visibili in ognuno dei dieci temi della mostra.
Ne Il Corpo Artistico viene enfatizzato il potere del suo corpo come mezzo per creare arte, come nel caso della sua prima performance, Rhythm 10 (1973), in cui Abramovic si infilava coltelli affilati tra le dita davanti al pubblico, o come in Lips of Thomas (1975), in cui si incideva una stella nell’addome con un coltello, lasciando una cicatrice permanente.
Nei suoi lavori sul Corpo Sociale, Abramovic esplora la sua relazione con il suo partner Ulay e con il pubblico. Con Ulay ha creato opere in cui veniva approfondito il rapporto tra il proprio io e l’altro, tra il femminile e il maschile. Come in Rest Energy (1980), in cui Ulay puntava una freccia al cuore di Marina, descrivendo in modo toccante l’estrema fiducia da cui dipendeva la loro collaborazione. Il suo rapporto con il pubblico è evidente in Rhythm 0 (1974) e nella famosissima The Artist is Present (2010). In queste performance, la Abramović utilizza il suo corpo come specchio delle emozioni e dei comportamenti dei visitatori. In Role Exchange, eseguita nel 1976 su invito del centro d’arte de Appel, Abramovic si scambiò il ruolo con una prostituta nel Quartiere a Luci Rosse per due ore.
Negli ultimi anni, Abramovic si è concentrata sulla spiritualità e sul suo rapporto con la terra e la natura. Tra la fine degli Ottanta e l’inizio dei Novanta, ha approfondito il rapporto tra la materia e l’energia. «La natura è lo spazio sconfinato di ognuno, specialmente il mio. Cerco di trascorrere più tempo possibile immersa in essa. Nella mia vita, l’amore è molto importante. L’amore è alla base del fare arte. Devi amare l’umanità, devi amare te stessa e devi amare il tuo lavoro. Devi essere amata e devi amare. Per me sono una cosa sola», ci raccontava l’artista nella nostra intervista. «Ad essere onesta, non credo raggiungerò mai l’obiettivo. Quando lo raggiungi può morire. Sono sempre alla ricerca di un nuovo obiettivo».
Curata nei Paesi Bassi da Karen Archey e Nina Folkersma, la mostra Marina Abramović sarà visitabile allo Stedelijk Museum di Amsterdam fino al 14 luglio 2024.
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