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Marion Baruch: l’artista che denuncia le disparità sociali attraverso opere tessili
Arte contemporanea
Per la prima volta la galleria Viasaterna di Milano ospita una personale dedicata al lavoro di Marion Baruch, in corso fino al 22 marzo 2024. La mostra raccoglie la produzione, caratterizzata dal tessile, dell’ultimo decennio dell’artista proveniente dalla Romania ma dall’identità transnazionale. Una nomade nella vita, così come nel suo lavoro. «Il mio destino è stato questo… tu diventi la tua storia, chissà, se è la storia che ti fa diventare», dice Baruch, nata nel 1929 da una famiglia ebrea a Timisoara, una città della Transilvania, e cresciuta in una famiglia che lei stessa definisce “borghese”. È importante notare che suo nonno possedeva un negozio di tessuti, un materiale che avrebbe giocato un ruolo importante nella sua vita professionale anni dopo. Fin da piccola mostra il desiderio di una formazione artistica e il periodo trascorso al riparo dai bombardamenti che devastano il suo Paese nel 1944 è quello in cui inizia a disegnare. Dopo la guerra, si trasferisce a Bucarest dove si iscrive alla locale Accademia di Belle Arti; purtroppo, in seguito si renderà conto che il suo posto non è quello: la produzione artistica è stata assorbita dal regime di Stalin. Insieme alla madre, musicista, decide quindi di ricominciare ed emigranell’appena costituito Stato di Israele, dove si stavano rifugiando molti artisti ebrei sfuggiti al nazismo.
A Gerusalemme, Baruch studia all’Accademia di Bezalel sotto la guida di Max Bronstein, più tardi conosciuto come Mordecai Ardon, discepolo di Paul Klee. Questa esperienza, in contrasto con la rigidità dell’Accademia di Bucarest, si rivela liberatoria, mettendo in discussione le tradizionali divisioni tra pittura e scultura. I metodi di Ardon incoraggiano nell’artista rumena un’espressione creativa inedita. Nel 1954, dopo aver partecipato a mostre collettive al Museo di Tel Aviv e alla Casa degli Artisti di Gerusalemme, Baruch tiene la sua prima mostra personale al Micra Studio, uno spazio vicino a una biblioteca d’arte in Allenby Street a Tel Aviv, dove presenta 25 opere. Pochi mesi dopo, Baruch riceve una borsa di studio da Yehudi Menuhin per studiare all’estero e decide di andare a Roma, all’epoca l’epicentro del neorealismo italiano, fortemente influenzato dal lavoro cinematografico di Cesare Zavattini, Vittorio de Sica eRoberto Rossellini. A Roma rimane affascinata dal patrimonio artistico e dalla bellezza della città, che fa riemergere il suo desiderio di lavorare come artista, ma il primo contatto il boom economico di stampo occidentale si rivela torbido e la porta ad approfondire il suo impegno verso l’arte come mezzo di espressione personale e sociale.
L’opposizione attraverso l’arte
Due figure hanno decretato l’importanza del tessuto nella ricerca di Baruch: il nonno, impiegato nell’industria tessile, e il secondo marito dell’artista, un dirigente del settore. Confrontando gli abiti realizzati dal nonno anni prima con i modelli prodotti in serie nell’azienda del marito, l’artista comincia a riflettere sulla disuguaglianza finanziaria e sociale legata a questo ambito. Attraverso le due opere, non solo mette in discussione la disuguaglianza del lavoro, ma cerca anche di sfidare il ruolo della donna nell’Italia dell’epoca, impegnata in un processo di emancipazione. È il momento in cui il suo lavoro vira verso la scultura, facendo convivere materiali opposti tra loro.
Tra la fine degli anni Sessanta e il nuovo millennio, Baruchutilizza sculture come Contenitore-Ambiente (1969), Abito-Contenitore (1970), Ron Ron (1972), Bandiere (1987-1989), Superart (1988-1989), Plat du jour (1992), nelle quali la sua critica sociale viene espressa attraverso una nota di umorismo. Le opere sono realizzate attraverso una grande varietà di dimensioni, tecniche e materiali, i titoli evocano la memoria e sono in italiano, inglese, francese e tedesco, dimostrando ancora una volta di essere cosmopolita e poliglotta.
Esplorazione nei tessuti
A partire dal 2012, l’autrice si dedica esclusivamente alla propria ricerca lavorando a Gallerate, città tradizionalmente legata all’industria tessile. Baruch, artista che cerca di enfatizzare il vuoto in tutte le sue opere, vive e lavora in una casa-studio composta da un mix di oggetti quotidiani ed elementi di lavoro, creando un netto contrasto tra l’ambiente circostante e la sua produzione artistica. L’artista, ossessionata dall’idea di decidere il destino della materia prima a sua disposizione, considera questo compito come il suo principale obiettivo creativo. Per lei, la scelta e la manipolazione dei materiali tessili all’interno delle sue opere diventa una sorta di follia, in cui la decisione di ogni operazione e lo scopo finale di ogni pezzo sono attentamente considerati.
I materiali che l’artista sceglie per realizzare le sue opere sono passati attraverso numerosi processi e mani, come rifiuti di imballaggio e scampoli di tessuto destinati a essere distrutti. Utilizza forme, colori e materiali per creare un linguaggio visivo che esplora il concetto di vuoto. Il suo approccio è quello di minimizzare, ma non nascondere, permettendo al vuoto di essere uno spazio attivo e pieno di potenzialità. Il suo approccio artistico si concentra sulla sottrazione, evidenziando gli spazi vuoti come elementi fondamentali. I vuoti assumono un ruolo di primo piano, diventando il fulcro del suo lavoro. Il vuoto emerge come componente essenziale nelle rappresentazioni degli abiti, invitando a riflettere sul significato di riempire o completare quello spazio per raggiungere l’interezza.
Il tema del consumismo ha caratterizzato tutta la sua produzione e quello della produzione tessile, ad esso direttamente collegato, gran parte di essa. Le sue opere sollevano interrogativi sulla sovrapproduzione, sulle abitudini di consumo e di conseguenza sui rifiuti e sull’inquinamento. Baruch collega il mondo della moda e dell’arte e nelle sue opere tocca temi sociali e culturali attuali, legati sia al passato che al futuro.
La mostra di Viasaterna
Esiste un legame tra parole e opere, tra vuoto e memoria. La mostra è organizzata in due sale al piano terra e un percorso nel seminterrato. Nel foyer Oranjegekte, Follia Arancione! (2023)fantastica, dove gli strati arancioni del motivo si moltiplicano.Al piano terra, parlando di assenze, in Segnali di vita urbana(2019) si percepisce un tessuto urbano rappresentato da assenze; sono loro a costituire l’esistente. In Bird (2016) e Teatro eTeatrino (2013) si nota come l’artista cerchi di ridurre all’astrazione le forme, siano esse di animali o di elementi dell’architettura scenica. Chi è legato al teatro può fare riferimento a questa ricerca dialettica tra arte e società, tra opera e spettatore. L’ultima opera in mostra è Meccanismi di precisione per le sculture (2022), una serie esposta per la prima volta nella galleria Viasaterna, in cui sono presenti tre teche aperte di diversa altezza che sospendono frammenti di tessuto. I frammenti sembrano fluttuare nel vuoto, che inevitabilmente ci invita alla riflessione tra spazio e memoria.
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