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Mimmo Paladino, I dormienti – Cardi Gallery
Arte contemporanea
I Dormienti di Mimmo Paladino potrebbero essere chiamati anche “Misteri”, portano come retaggio gli strascichi della terra natia dell’artista, la Valle Caudina, carichi di presagi e riti propiziatori che si dipanano in insolite memorie ataviche collettive. Nascono alla fine degli anni Novanta, quando li espone per la prima volta a Poggibonsi (1998). Altri Dormienti in terracotta sono stati realizzati per la grande mostra negli spazi sotterranei della Roundhouse di Londra (1999), in dialogo con un impianto sonoro appositamente ideato dal musicista, compositore e produttore britannico Brian Eno. A oltre vent’anni di distanza, l’artista propone con un nuovo allestimento pensato appositamente per lo spazio della Cardi di Milano. Queste sculture potrebbero far pensare ai calchi ritrovati a Pompei dopo l’eruzione del Vesuvio, ma in realtà nascono dalla riflessione dei ricoveri di guerra inglesi durante la Seconda Guerra Mondiale dei disegni realizzati nel 1944 da Henry Moore. Nella penombra dello spazio assorto della galleria milanese s’intravvedono 32 sculture distese a terra che sembrano riposare, nascono dalla terra e dal sonno vengono liberati dalla pesantezza del corpo per divenire soffio evanescente che si libera nell’aria grazie alle sottili e magistrali composizioni musicali di Eno.
Nel corso di diversi decenni di assiduo e incessante lavoro l’artista ha saputo ricercare l’emotività e l’essenzialità dell’immagine e una propria personale individualità creativa. Il lavoro nasce essenzialmente dall’intreccio di memorie costrette a vivere in una situazione transitoria; entrano nello spazio della rappresentazione e escono per incarnarsi dentro la realtà. Egli stesso ci confida: ”credo che l’opera d’arte sia enigmatica, complessa e completa quando riesce a contenere molti dettagli che si svelano con il tempo e comunque non si svelano mai completamente”. In tutto il lavoro di Paladino c’e qualcosa di misterioso che attrae e fa riflettere, persino il poeta Giuseppe Ungaretti, in una conversazione del 1961 con Leonardo Sinisgalli, confessava di avere questa concezione della poesia: “la poesia – scriveva – deve contenere un segreto, perché la poesia è poesia quando porta in sé un segreto. Se la poesia è decifrabile nel modo più elementare non è poesia…”. Nell’opera ďi Mimmo Paladino i misteri e la poesia stanno racchiusi dentro angoli sperduti della rappresentazione, tra segno, materia e apparizione. Nel suo lavoro non vi è alcun tentativo di evidenziare l’esteriorità delle cose, una trama ben precisa di un racconto, ma di considerare l’evento in una dimensione molto più profonda e sospesa. Paladino, costruendo situazioni volutamente non definite evita che la figurazione diventi descrizione e puro riporto. Le sue proiezioni interne-esterne, tra dato bidimensionale e volumetria, tra materia e vuoto nascono dall’esigenza di dare corpo alle “emergenze interiori”, di procedere per frammenti e per lacerti raggrumati e insoliti di realtà. Nel suo lavoro è ben presente la parvenza dell’immagine, il senso della precarietà e anche una certa nascosta e fascinosa ironia. A Paladino piace indagare questo ruolo sottile, nel tentativo di capovolgere continuamente le situazioni al fine di recuperare un modo di essere diverso nelle cose. Insomma, l’artista ha bisogno che i fantasmi del pensiero e della storia passata emergano, che i fantasmi e i frammenti dell’immagine vivano dentro i luoghi immaginari della visione.
Quella di Paladino è certamente una complessa figurazione che si alimenta di precari frammenti di senso, dove il tempo, carico di mistero, sembra scuotere e alterare le immagini, accumulandole in una zona intransitabile fino a convogliarle nella precarietà della visione tra dualità, scissione dell’io e il grande vuoto. Una visione carica di suggestioni, intenta a evidenziare l’oscuro mistero della rappresentazione – come scriveva Roberto Daolio – “il mistero scavato e portato in superficie”. In fondo, la vita non è altro che un incessante e temporaneo succedersi di presenze e azioni, ricomposti dentro una cupa apparenza di un’urna alla ricerca di un destino e di un sonno comune.
In questa mostra milanese, l’installazione dei Dormienti è accompagnata al primo piano dello spazio della galleria anche da una grande opera inedita, Sunday Mornin’ Comin’ Down, composta da 100 disegni realizzati nel corso del 2020, una sorta di un grande puzzle nel quale i frammenti delle immagini convergono a creare un unicum, tra presenza e memoria.