-
- container colonna1
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
- container colonna2
- container colonna1
Mito del diluvio e purificazione: intervista a Stefano Cagol
Arte contemporanea
Stefano Cagol è uno dei vincitori del premio Italian Council, programma di promozione di arte contemporanea italiana nel mondo della Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, grazie al progetto “THE TIME OF THE FLOOD. Beyond the myth through climate change | IL TEMPO DEL DILUVIO. Oltre il mito attraverso il cambio climatico”. Il progetto è dedicato a tematiche climatiche e alle interferenze antropogeniche che prevede una serie di tappe di residenza tra ricerca e creazione iniziato lo scorso novembre a Berlino e che nel mese di settembre prende forma a Vienna con una mostra presso l’Istituto Italiano di Cultura.
Come nasce il progetto “THE TIME OF THE FLOOD. Beyond the myth through climate change” , progetto realizzato grazie al sostegno di Italian Council?
È l’essenza e il nuovo step di una ricerca che si dedica a tematiche dell’oggi e specificamente a quelle climatiche e delle interferenze antropogeniche, iniziata – si può dire – con “The Ice Monolith” alla Biennale di Venezia nel 2013, ma con radici ancora più addietro nel mio percorso (una delle mie prime opere video negli anni Novanta parlava di atomica in concomitanza con gli esperimenti a Mururoa). E’ il distillato anche del mio metodo, che da una quindicina di anni include la pratica del viaggio, visto che si tratta di un progetto multi sito di residenza, sviluppato attraverso indagine, interazione e creazione in diverse città a partire da novembre dello scorso anno a Berlino, dove si trova l’istituzione partner principale, che è Momentum, e dove ho collaborato anche con l’Istituto di Cultura. Dopo Vienna, città nella quale mi trovo in questo momento, mi sposterò sul Mare dei Wadden al confine tra Germania e Olanda. La tappa israeliana è stata invece spostata per forza di cose all’autunno del 2021, quando avrò lo studio presso Art Cube a Gerusalemme, mentre la curatrice Giorgia Calò, con IIFCA Fondazione Italia-Israele per la Cultura e le Arti, sta sviluppando un panel pubblico fruibile in via digitale collaborando con l’Istituto Italiano di Cultura a Tel Aviv e coinvolgendo, tra gli altri, Nicola Trezzi, direttore del CCA-Center for Contemporary Art di Tel Aviv.
In che modo il tema del diluvio può essere considerato summa del momento che stiamo vivendo?
Il mito del diluvio, presente in racconti sulle origini dell’umanità radicati fin nella notte dei tempi di quasi tutte le culture del mondo, rappresenta in modo privilegiato l’idea di un evento totale che va a ribaltare la realtà così come la conosciamo. Non va inteso quindi il diluvio solo come acqua, ma come qualsiasi sconvolgimento radicale, che sovverte l’ordine stabilito delle cose. Questo lavoro, che ha vinto l’Italian Council nel 2019 (6. edizione), è iniziato a novembre dello scorso anno ed è stato pensato molti mesi prima, si rivolge in modo palese alle questioni della crisi climatica, ma, alla luce degli accadimenti della pandemia avvenuti in progress, risulta aderire perfettamente anche a questo “diluvio”, in maniera visionaria.
Fino al 25 settembre 2020 l’istituto Italiano di Cultura a Vienna ospita una mostra dedicata al progetto in questione, con opere realizzate nell’arco di un anno in diversi luoghi. Di che opere si tratta e che luoghi sono stati coinvolti?
La mostra, ospitata nelle sale storiche dell’ottocentesco Palazzo Sternberg, sede dell’Istituto Italiano di Cultura a Vienna, è un primo sunto del progetto Il Tempo del Diluvio, a partire dalle opere realizzate in gennaio di quest’anno a Berlino in una solitudine urbana che sembra anticipare profeticamente il successivo isolamento imposto dalla pandemia. Il silenzio è rotto dal grido di una sirena che ho attivato emblematicamente davanti al Reichstag, mentre in Antagonismus sono immerso in un lago urbano della capitale tedesca e penetro l’acqua con una fiamma, incendiando il gas di bombolette di lacca per capelli come metafora del nostro atteggiamento di contrapposizione con la natura, un gesto da me fatto per la prima volta nelle lande artiche. In Abiogenesis mi affaccio sull’orlo delle viscere vulcaniche della Terra, avvicinandomi a una polla di densa acqua biancastra che gorgoglia ininterrottamente un gas da 2.000 metri di profondità. In Lazio, poco lontano da Roma e dal lago di Bracciano. Qui si fondono fine e origine della vita, proprio come nella teoria dell’abiogenesi, che identifica la nascita della vita dalla materia non vivente. Nell’ultima sala proietto “Signal to the future”, sempre di quest’anno, in cui aziono simbolicamente un dispositivo marino di comunicazione di pericolo in un’iconica piazza deserta nel cuore delle Alpi, a Bressanone, a metà tra l’SOS e l’anelito di speranza. Un segnale universale che ha velocemente fatto il giro del mondo, guadagnando visibilità sui media globali: 226 milioni di visualizzazioni sulle TV e altrettante online, per oltre 400 milioni totali di spettatori, permettendo al mio messaggio di raggiungere un pubblico quasi inimmaginabile per un’azione d’arte. Oltre alle opere video, c’è un’installazione, una sorta di postazione di laboratorio, tra scienza, storia, mito e trascendente, che ruota attorno al fossile di un essere vivente tra i più antichi, una trilobite di 500 milioni di anni fa, che ho affiancato al collage di una micro-miniatura della Genesi di appena 5 millimetri di diametro. Per raccontare della brevità insignificante della presenza dell’uomo sulla Terra, comparata con quanto era ben prima di noi. E quanto sarà dopo. Il giorno dell’inaugurazione per l’introduzione arriverà Alessandro Castiglioni dal museo MA*GA di Gallarate, dove è vice-direttore e dove lo scorso anno ha curato una mia intensa mostra personale.
Cosa ci puoi dire riguardo alla performance “DIE ZEIT DER FLUT” in programma per il 22 settembre 2020 a “PARALLEL VIENNA 2020”?
Certamente importante è il momento in cui avviene, alle 19.20, che costituisce non solo il clou dell’inaugurazione, ma soprattutto il passaggio dalla luce al buio, circostanza che spesso caratterizza la mia pratica. Alla luce del crepuscolo eseguo un assolo, come lo sono le azioni alla base delle opere video in mostra all’Istituto di Cultura. Rifletto così sulla nostra relazione con il pericolo e la sua percezione. Il titolo è la traduzione tedesca del mio progetto sul diluvio, dando conto del fatto che il metodo del viaggio apre alla possibilità di performare– sia da solo sia con la presenza o la partecipazione del pubblico – in diversi contesti con cui rapportarsi in maniera time e site specific. Sono stato invitato all’interno della sezione “Interventions” da Stefan Bidner, direttore artistico di “Parallel Vienna”, il cui concept, estremamente cool e innovativo, si muove a metà strada tra la fiera, la mostra e l’happening.
I fenomeni come la scomparsa dei ghiacciai, le pandemie e i cambiamenti climatici sono definiti dal filosofo Timothy Morton “iperoggetti” – da te citato in merito al progetto – in quanto, nonostante siano davanti ai nostri occhi non riusciamo veramente a rendercene conto in virtù della loro complessità. Come è possibile fare una riflessione che superi questo limite?
La complessità la smonti e la fai diventare semplice. Questo è quello che faccio con le mie opere. Non credo in opere e in artisti, a cui non interessa comunicare, essere recepiti, che soccombono all’astrusità e che non riescono a staccarsi dai linguaggi complicati delle scienze illudendosi di confrontarsi con esse. Sono convinto che l’artista debba essere un tramite tra noi quanto è oltre a noi. Per questo la supersemplificazione dell’iperoggetto è disvelatrice. Le questioni climatiche, incomprensibili, estese, onnicomprensive diventano un cubo di ghiaccio che si fonde… e allora chiunque può cogliere al volo il messaggio. Il più bel complimento a quell’opera presentata alla Biennale – The Ice Monolith appunto – mi è arrivato da un passante, un veneziano, che mi ha detto: è la prima opera d’arte che capisco veramente. Un modo per codificare è eliminare, pulire, fino ad arrivare all’essenza di un’idea, a una sua rappresentazione che diventa comprensibile. Non si risolvono subito i problemi, ma si comunicano. Solo avendo percezione del problema si può affrontare.
Riguardo al concetto di diluvio hai parlato di modalità di purificazione. Come credi sia possibile oggi purificarci in questo senso?
Bisogna essere positivi, anche se è molto difficile, perché le premesse fanno presagire l’incapacità dell’uomo a sopravvivere a se stesso. La natura, invece, è influenzata fortemente da noi, ma c’era prima e ci sarà molto dopo di noi, proprio perché sa purificarsi e rinnovarsi. Da questa dovremmo imparare.