-
-
- Categorie
- #iorestoacasa
- Agenda
- Archeologia
- Architettura
- Arte antica
- Arte contemporanea
- Arte moderna
- Arti performative
- Attualità
- Bandi e concorsi
- Beni culturali
- Cinema
- Contest
- Danza
- Design
- Diritto
- Eventi
- Fiere e manifestazioni
- Film e serie tv
- Formazione
- Fotografia
- Libri ed editoria
- Mercato
- MIC Ministero della Cultura
- Moda
- Musei
- Musica
- Opening
- Personaggi
- Politica e opinioni
- Street Art
- Teatro
- Viaggi
- Categorie
-
Mondoromulo: a Benevento la galleria che valorizza l’arte emergente
Arte contemporanea
Alla galleria Mondoromulo Arte Contemporanea di Castelvenere, in provincia di Benevento, è visitabile fino al 22 febbraio 2025 la doppia personale di Dario Molinaro (Foggia, 1985) e Giulio Zanet (Colleretto Castelnuovo, 1984), intitolata Il Giardino Negato. Accompagnata da un testo critico di Francesca Pergreffi, l’esposizione rende omaggio alla mostra Il museo negato del 1994, curata da Ezio Barni ai Musei Civici di Monza. In esposizione, un ricco corpus di oltre 100 opere, per esplorare uno dei temi fondamentali della storia dell’arte: la natura, in tutte le sue declinazioni. Molinaro e Zanet, con i loro linguaggi distintivi, affrontano questo soggetto intrecciando visioni personali.
Il giardino negato, da scoprire nelle opere di Molinaro e Zanet
Il progetto ha preso forma lo scorso settembre, dopo un primo incontro a Bologna durante l’estate. In seguito, Molinaro è stato ospite per alcuni giorni nello studio di Zanet a Correggio (RE), in occasione della terza edizione della residenza Eterchebali, organizzata insieme a Giulia Marani. L’idea alla base del progetto nasce da un’urgenza tanto semplice quanto profonda: il desiderio di possedere un giardino, un piccolo angolo verde che offra un dialogo costante con la natura.

Un’assenza sempre più condivisa nella vita urbana contemporanea. I due artisti, però, non si sono arresi alle limitazioni della realtà, scegliendo di coltivare un “giardino” interiore. Molinaro, attraverso segni che spaziano dai chiaroscuri del bianco e nero a grumi cromatici intensi, rimane ancorato alla dimensione figurativa. Zanet, invece, scompone le figure affidandosi a gesti e geometrie che generano nuove forme e suggestioni.

L’operazione si è articolata in due fasi principali. Nella prima, i due artisti hanno avviato un dialogo a distanza, producendo una vasta quantità di opere di piccolo e medio formato, realizzate su supporti diversi e con tecniche eterogenee. Questo corpus è stato poi allestito con un approccio volutamente “sovrabbondante” sulle due pareti principali della galleria, evocando le quadrerie storiche. La disposizione delle opere crea un corto circuito visivo, suggerendo rimandi tra poetiche tassonomiche e dettagli cellulari osservati al microscopio. Nella seconda fase, a pochi giorni dall’apertura, Molinaro e Zanet si sono riuniti per lavorare a quattro mani su un’opera di grande formato, il “masterpiece” che dà il titolo alla mostra. Partendo da un ampio tessuto, i due hanno alternato i loro interventi, combinando segni e visioni in un giardino immaginario, simbolo delle loro sensibilità.

La saletta di Mondoromulo, rivestita di prato sintetico, accoglie i visitatori in un’esperienza sensoriale unica. Seguendo “l’invito” presente nell’intervento sulla pagina LXIV del catalogo Il museo negato (un Paesaggio di Achille Tominetti), il pubblico si troverà davanti alla rappresentazione del “giardino segreto” degli autori: un’installazione immersiva dove il grande dipinto occupa il centro della scena.


La project room di Mondoromulo: il gioco di Fabrizio De Cunto
Dalla scorsa estate, Mondoromulo si è ampliata, riorganizzando parte dello spazio precedentemente dedicato alle opere rimaste in galleria dopo le mostre che si sono susseguite nei primi due anni di attività.
«Le Project Room – spiega Flavio Romualdo Garofano – sono spazi pensati per dare visibilità ad artisti emergenti o a progetti che si discostano dal consueto percorso artistico degli artisti rappresentati. Questa iniziativa si inserisce in una programmazione in espansione e diventa quindi fondamentale creare nuovi luoghi per investire su una nuova generazione di artisti contemporanei».

Dal 9 novembre scorso, questi spazi ospitano le opere dell’artista sannita Fabrizio De Cunto (Benevento, 1987) con il progetto Terra, accompagnato da un testo critico di Maurizio Cimino che per certi versi è quasi un contributo creativo alla comprensione del progetto.
De Cunto – noto anche con lo pseudonimo Faffiffio – presenta sei opere: tre sculture, un’installazione e due disegni, che invitano lo spettatore a mantenere il suo “gioco”. L’approccio ludico dell’artista, però, non deve trarre in inganno, perché le sue creazioni si sviluppano da una base concettuale di grande rilievo.

Tra questi, spicca Accrocco, un assemblage nato dal recupero di un monopattino, che ci trasporta in un’atmosfera quasi postatomica. L’opera evoca un mondo immaginario in stile anime giapponese, dove il mezzo, privo di ruote ma dotato di tre piccole vele, sembra concepito per muoversi sfruttando aria e acqua. Pur “parcheggiato”, lascia intuire una velocità capace di sfuggire a qualsiasi inseguitore, persino ai sicari di Jabba the Hutt nei deserti di Tatooine.

Un’altra piccola vela, quasi un prototipo, o libretto di istruzioni del suddetto mezzo di trasporto compare in un disegno a matita colorata di qualche anno fa. Film mescola materiali e poetiche ricorrenti nel lavoro di De Cunto. L’opera nasce da una poesia ritrovata e utilizza una serie di pressini per conserve sottolio impilati per creare moduli che formano due “sedili”. Questi comunicano attraverso un rotolo nero, montato come una rotativa offset, sul quale è impressa l’impronta del modulo stesso. Ne scaturisce un immaginario dialogo esistenziale tra i due elementi, intriso di ironia.

Tra le creazioni più emblematiche di De Cunto, tuttavia, troviamo le Ricottine, una serie iniziata qualche anno fa. L’artista realizza queste piccole sculture utilizzando il cemento, un materiale in apparenza distante dall’idea di sofficità che esse evocano. Le Ricottine, in decine di esemplari, sono raccolte in una sorta di incubatrice, quasi che De Cunto voglia preservarle dai pericoli del mondo esterno. Tuttavia, nonostante l’espressione “Fare le ricottine” – ne La ricotta di Matilde – che ha mosso più o meno consciamente questa serie di lavori, la loro scorza resistente lascia intuire siano piuttosto pronte a confrontarsi con ciò che le attende fuori.

La Project Room sarà aperta fino al 2 febbraio 2025. Il prossimo appuntamento in galleria è previsto per domenica, 22 dicembre, con l’Art Jam Session, una giornata dedicata a improvvisazioni artistiche in collaborazione con la cantina Simone Giacomo.