«Il mio adorato Abruzzo, a cui ho donato un’infinità di opere, mi sta dando qualche preoccupazione, sento che si sta perdendo quella tensione ideale verso la bellezza purificatrice dell’arte a cui ho dedicato tutta la vita. E in questa Italia così rabbiosa e incattivita, che vedo attorno a me, quale futuro avranno i giovani?». Anche ieri sera, nella nostra ultima telefonata, Alfredo Paglione, il grande gallerista, collezionista e mecenate scomparso questa mattina a Giulianova, si preoccupava per gli altri, per la sua regione e per le ultime generazioni. E anche ieri non poteva fare a meno di pensare ai progetti per il futuro, quelli partoriti a getto continuo dalla sua testa vulcanica, auspicando a breve una presentazione ufficiale dei cinque documentari che mio fratello Raffaele e io abbiamo realizzato su alcune delle sue principali donazioni abruzzesi.
Sì, è molto difficile trovare un mecenate che per la propria regione abbia fatto qualcosa di simile agli atti di generosità dimostrati da Alfredo Paglione, classe 1936, abruzzese doc, nato a Tornareccio, figura atipica, coltissima e per molti aspetti eccezionale di collezionista di razza. Con la sua inesauribile generosità e lungimiranza, oltre che tenace determinazione, Paglione è giunto al record invidiabile di dieci donazioni alla propria terra, per un totale di oltre 1500 opere, disseminate in tutta la regione. L’elenco, solo per dirne alcune, è impressionante: da Chieti, con le otto sale del Museo Barbella impreziosite da nomi del calibro di de Chirico, Grosz, Mirò, Campigli, Manzù, Guttuso, Paolini, Savinio e con le opere donate all’Università D’Annunzio, a Pescara con le 131 opere donate all’Imago Museum, da Vasto (Palazzo d’Avalos) a Tornareccio (con gli straordinari mosaici del “Museo en plein air”), da Castelli (200 ceramiche e sculture di Aligi Sassu al Museo delle Ceramiche) ad Atessa (Museo Sassu). E come dimenticare il suo connubio con l’architetto Mario Di Nisio che a Chieti portò alla nascita del Museo di Palazzo de’ Mayo che ebbi l’onore di inaugurare curando una grande mostra di Mimmo Paladino?
La straordinaria avventura di Paglione nel mondo dell’arte inizia nel 1961, quando si trasferisce a Milano e intraprende diverse attività in ambito culturale. Con l’attrice Dolores Olivan Pizzoli, del Piccolo Teatro, si occupa dell’allestimento e successivamente della gestione amministrativa di un nuovo teatro, “La Piccola Commenda”. Affida qui ad Aligi Sassu (la cui opera gestirà poi per molti anni in esclusiva, oltre ad aver sposato l’amatissima Teresita Olivares, sorella della moglie del noto pittore) la realizzazione di un ciclo di affreschi; e a Sassu e ad altri artisti come Lucio Fontana e Agenore Fabbri commissiona anche le scenografie per le pièces rappresentate, la prima delle quali è “Una notte fuori”, del futuro Premio Nobel Harold Pinter.
Nel dicembre 1963 apre a Milano l’ormai mitica Galleria 32, un’accogliente “casa dell’arte” che diventa presto il punto di riferimento per la pittura figurativa (o come diceva lui, “arte per immagini”) italiana e internazionale, ma anche richiamo e luogo di aggregazione per gli intellettuali milanesi, italiani ed europei. La Galleria realizza mostre di numerosi artisti fra cui Fontana, Guttuso, Calabria, Sassu, Manzù, Levi, Mattioli, Cremonini, Vespignani, Attardi, Zigaina, Guccione, Caruso, Bodini, Vangi, Sughi, e di noti Maestri stranieri come Picasso, Rauschenberg, Grosz, Levine, Ortega, Quetglas, Rivers. A loro si affiancano, in una sorta di spontaneo cenacolo culturale, grandi poeti e scrittori come Rafael Alberti, Quasimodo, Buzzati, Carrieri, Ungaretti, Sciascia, Sereni, Moravia, Fagiolo Dell’Arco, Raboni, Soavi, Tadini, Testori, Carluccio, Zeri.
Sul finire della sua entusiasmante attività di gallerista che si chiuderà nel 2000, l’amore per la sua terra d’origine lo spinge a coltivare un grande sogno: realizzare in diverse città della sua regione una serie di nuove strutture museali, con lo scopo di diffondere fra la sua gente, specialmente fra i giovani, l’amore per l’arte, per la poesia, per la bellezza. «Queste donazioni rappresentano – ha spiegato Paglione con la sua dolce determinazione – il mio omaggio soprattutto ai giovani, che sono la speranza e il futuro di questa Italia che non sa più dare fiducia, spazio, lavoro ai suoi figli. Per loro ho voluto diffondere richiami all’arte e alla bellezza: è come se accendessi dei piccoli fuochi, come se piantassi degli alberi. Mi auguro che vengano ben accolti, alimentati e fatti crescere nel tempo, per aiutare i giovani a ricercare la bellezza che, com’è stato per me, li farà vivere meglio e risponderà alla loro sete di grandi orizzonti».
Paglione sembra aver fatto proprio il famoso motto di un abruzzese eccellente, Gabriele D’Annunzio, che amava dire: “Io ho quel ho donato”. Nel mondo dell’arte esistono collezionisti gelosi del possesso e delle loro acquisizioni fino al punto di nasconderle agli altri e collezionisti che amano la condivisione e il dialogo continuo innescato dai loro acquisti. Nel contesto della seconda tipologia, un insigne collezionista e mecenate come Alfredo Paglione è stato ancora di più, è stato un uomo che ha restituito al mondo le opere acquisite dopo averle impreziosite con il proprio lavoro pluridecennale, per poi trasformarle, con le proprie donazioni, in semi di bellezza destinati a germogliare per incantare e rendere migliori gli altri. Una sfida che ora dovranno proseguire le due Fondazioni da lui volute, “Crocevia” e “IMMAGINE – Arte e Scienza di Alfredo e Teresita Paglione”.
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