“Una mostra non è mai una raccolta di pezzi singolari, una vetrina o un indiscriminato campionamento di tendenze artistiche; non è nemmeno la somma delle sue opere, bensì l’esposizione delle relazioni che si creano tra di esse”. Così il filosofo Giuseppe Armogida introduce il senso della mostra collettiva “La Comunità inoperosa“, da lui curata a Palazzo Ducale di Tagliacozzo per Contemporanea Ventiventuno, l’ottava edizione della rassegna di arti figurative contemporanee diretta dall’artista Emanuele Moretti.
Armogida e Moretti, con la consulenza di Arianna Sera, hanno invitato 33 artisti delle ultime generazioni, per lo più attivi nell’ambito degli artist-run space capitolini, da Spazio Mensa a Post Ex. Il risultato è una panoramica dell’arte emergente che si sviluppa in un percorso espositivo nei grandi e articolati ambienti del palazzo, che fu residenza degli Orsini nel Medioevo e poi, a partire dal 1467, dei Colonna, e ora è adibito a spazio per mostre e manifestazioni culturali. I curatori hanno diviso la mostra in due sezioni diverse: nelle sale al primo piano, fresche di restauro, sono state allestite le opere di artisti più affermati, tra i quali spiccano pittori come Alberto Di Fabio, Matteo Montani o Gianni Politi. Le loro opere dialogano con lavori di alcuni emergenti, tra i quali Dario Caratta, Marta Roberti, Guglielmo Maggini, Delfina Scarpa o Gaia Di Lorenzo, in un allestimento puntuale e rigoroso – anche se un filo troppo affollato – quasi a seguire letteralmente il senso del testo del filosofo francese Jean-Luc Nancy La communauté désoeuvrée (1983), che definisce la comunità come “un essere-in-comune, che semplicemente accade: un evento, un atto performativo”. Tutt’altra atmosfera domina invece le sale al piano terra, non ancora restaurate e aperte al pubblico per la prima volta in occasione della mostra. Qui tracce di antichi camini e di stemmi gentilizi, frammenti di affreschi di epoche diverse e pareti scalcinate conferiscono alle opere un valore in qualche modo più poetico, accogliendole in maniera intima e destrutturata. Gli artisti più giovani rispondono a questa accoglienza con maggiore libertà, quasi a volersi confondere con le tracce di un passato ancora vivo e presente, in un susseguirsi di ambienti che ospitano sculture, grandi installazioni, dipinti su tela ma anche su muro.
Qui la comunità artistica emergente appare felice e perfettamente integrata con le stratificazioni storiche , al di là della dimensione asettica del white cube, come si nota in una delle sale più intense, con gli interventi di Alessandro Giannì e Diego Miguel Mirabella mimetizzati con i lacerti di affreschi presenti alle pareti. Il culmine del percorso è la piccola cappella del palazzo, affrescata da un pittore anonimo del Quattrocento battezzato da Federico Zeri – frequentatore abituale del paese abruzzese – con il nome di Maestro degli affreschi di Tagliacozzo. Qui Sonia Andresano ha collocato Atto di candore (2021), un piccolo video dal sapore metafisico, in dialogo perfetto con i santi e le madonne presenti sulle pareti: il tocco finale di una mostra interessante nella sua ecumenica poliedricità, che restituisce la dimensione eclettica di una scena emergente che ha avuto la prima occasione pubblica di presentarsi nella sua natura variegata e vitale, prima di ogni possibile e auspicabile istituzionalizzazione. Se la mostra registra in maniera puntuale un clima che appare quanto mai fecondo, lo spazio espositivo sembra ormai pronto per sfide ancora più grandi, in una regione dove il contemporaneo sta muovendo i primi passi, dal Maxxi L’Aquila a Straperetana, con una consapevolezza sempre più elevata.
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