Non chiamatelo “sperimentatore”. Paolo Gioli, artista tra i più significativi del panorama artistico italiano, non ama tale definizione anche se per molti aspetti gli si addice. «Le mie sono opere compiute, non sono esperimenti!», ha dichiarato. «Sembra quasi che dopo tutti questi anni sia ancora lì a provare per vedere cosa salta fuori, che faccio esperimenti senza sapere se quello che sto facendo riuscirà: e invece è ovvio che quello che faccio deve riuscire, perché per il settanta per cento è tecnica, e per il resto – se ce l’hai o no è un’altra questione – è talento o creatività pura». Pittore, fotografo e cineasta, per Gioli l’arte più che banco di prova è esito, conquista quotidiana di chi conosce la tecnica e riesce ad utilizzarla nel modo migliore per affrontare le sfide che la creatività abitualmente gli pone. Oggetti prioritari della sua ricerca sono il cinema e la fotografia istantanea, quest’ultima indagata soprattutto attraverso il polaroid da lui definito “umido incunabolo della storia moderna”. Stabilitosi a Lendinara, piccolo centro del rodigiano, continua a lavorare, producendo ed inviando opere per personali e collettive in tutto il mondo, senza dare mai nulla per scontato. Lo entusiasmano le cose complicate e ogni dettaglio è per lui fonte di creatività: «Non escludo mai niente, filmerei ogni angolo, soprattutto quelli in cui si raccoglie la polvere».
A partire dal 5 e 6 marzo (ore 17) il Museo Castromediano di Lecce e il Palazzo Tupputi di Bisceglie omaggeranno l’artista inaugurando la mostra “Paolo Gioli: Antologica/Analogica”, a cura di Bruno Di Marino, con la collaborazione di Rosario Scarpato e il coordinamento organizzativo di Antonio Musci e Daniela Di Niso (catalogo Silvana Editoriale). Il progetto realizzato da Cineclub Canudo e vincitore dell’ottava edizione dell’Italian Council, programma di promozione dell’arte contemporanea italiana della Direzione Generale Creatività Contemporanea del MIBACT, si compone delle due esposizioni italiane e una in Cina, al Three Shadows Photography Art Center di Pechino, di una serie di eventi incentrati sull’opera filmica, fotografica e pittorica di Gioli nel periodo 1969-2019. Le opere esposte provengono dal fondo di Paolo Vampa, suo principale collezionista. Abbiamo chiesto al curatore della mostra di raccontarci in anteprima il progetto.
Tutto è pronto. A breve l’apertura dell’antologica di Gioli a Bisceglie e a Lecce. Ma com’è nato l’intero progetto e perché in Puglia?
Il progetto nasce dalla collaborazione che dal 2007 ho avviato con il festival “Avvistamenti”, con il Circolo Canudo e con Antonio Musci e Daniela Di Niso, con cui abbiamo in passato sviluppato una serie di eventi dedicati alla sperimentazione audiovisiva, portando in Puglia autori internazionali come Peter Campus, Zbigniew Rybczynski o Pierre Coulibeuf, ma anche dalla voglia di realizzare una mostra su Paolo Gioli, un artista che seguo da molti anni e su cui ho lavorato curando un dvd con la sua opera filmica completa, scrivendo un saggio e inserendolo in diverse mostre collettive. È stata questa la ragione per la quale ho pensato di partecipare al bando Italian Council puntando su di lui e coinvolgendo anche gli amici pugliesi, che si sono dimostrati molto abili a mettere su un’operazione piuttosto complessa. L’intervento di Rosario Scarpato, che ha co-curato con me la mostra e soprattutto la porterà in Cina, è stato provvidenziale: è infatti grazie alla sua esperienza trentennale in questo paese che il progetto ha preso definitivamente forma.
Due sedi per una mostra unica. Ma come si integreranno i due percorsi allestitivi?
La mostra concettualmente è una sola, diciamo che si tratta di una mostra diffusa. La sezione centrale è ubicata a Lecce e prevede l’esposizione di circa cento opere, soprattutto polaroid. A Bisceglie, invece, saranno esposte sedici tele serigrafiche degli anni ‘70. Entrambe le sezioni inoltre prevedono un confronto tra le opere fotografiche e quelle filmiche. L’allestimento del Castromediano sarà più complesso e articolato. Con la curatrice del museo, Anna Lucia Tempesta, abbiamo pensato di accostare alle fotografie di Gioli alcuni reperti archeologici per sottolineare gli aspetti di continuità tra i due immaginari. Il discorso, dunque, si allargherà all’antico, con dei parallelismi e delle interferenze davvero sorprendenti. Non dimentichiamo che Gioli non solo guarda ai modelli e all’iconografia classica, ma in alcune serie ha utilizzato la statuaria greco-romana e l’arte etrusca. Quindi il rapporto con la storia dell’arte antica è davvero molto stretto e foriero di significati e letture inedite.
Come e perché hai iniziato ad interessarti al lavoro di Gioli?
Ho visto i suoi film a metà degli anni ’90. Poi l’ho scoperto anche come fotografo e pittore. L’attrazione nei confronti del suo lavoro nasce quindi dal mio interesse per il cinema sperimentale e per il cinema d’artista. Fin da subito ho capito di trovarmi di fronte a una figura di levatura internazionale, unico nel suo genere, soprattutto per quanto riguarda l’innovazione e l’invenzione tecnica. La sua ricerca sul dispositivo è sicuramente l’aspetto che mi ha affascinato maggiormente. Gioli mi è sembrato subito un caso a parte nel panorama del cinema sperimentale italiano e infatti, sotto molti punti di vista, svetta su tutti gli altri. L’altro aspetto rilevante è come la sua attività filmica non sia separabile da quella fotografica e la stessa infaticabile ricerca di nuove tecniche lo dimostra, così come la migrazione di temi da un’opera all’altra, da una serie all’altra, da un medium all’altro. Poi ho avuto la fortuna di conoscere e frequentare Paolo Vampa, il principale collezionista (nonché finanziatore) dell’opera di Gioli, cui è legato da un lunghissimo rapporto di amicizia. Devo dire che senza Vampa questa mostra non sarebbe stata possibile, così come anche la realizzazione del catalogo, al quale ha dato un apporto considerevole per quanto riguarda gli apparati.
Quali ragionamenti e quali scelte ti hanno guidato nella curatela della mostra?
La struttura dell’esposizione è stata dettata dalle ossessioni e dai temi ricorrenti nell’opera di Gioli. Ho pensato subito di ripartire la mostra in quattro sezioni: Natura, Corpo, Volto, Medium, naturalmente adattandola ai diversi spazi. Se, infatti, il Museo Castromediano per conformazione risulta più tortuoso e quindi le diverse sezioni sono più frammentate e subiscono a loro volta ulteriori ripartizioni, la struttura lineare del Three Shadows Photo Art Center di Pechino consentirà una visione più lineare e progressiva. La sezione Natura in particolare ospita non molte opere e alcune di piccole dimensioni, ma costituisce una testimonianza importante di quello che è l’immaginario organico di Gioli, e anche sulla tecnica di mettere direttamente fiori e foglie a contatto con la carta fotografica. Il tema del Corpo, invece, è assolutamente centrale nella produzione di Gioli e avrà grande visibilità nelle sale del Castromediano: una teoria di busti, torsi, nudi, sia maschili che femminili, completamente trasfigurati nella luce e nel colore, che si snoderà su una delle rampe circolari del museo. Una trentina di opere di grandi dimensioni che – con un unico colpo d’occhio – faranno comprendere quanto la ricerca “anatomica” di Gioli costituisca una rappresentazione tra fotografia, grafica, pittura, con suggestioni scultoree e accenni cinetici, riferimenti cioè a corpi suscettibili di movimento (un movimento che poi effettivamente si realizza nei film). Il Volto non è che un’appendice di questo discorso, ma è pur vero che vi sono alcune serie – per esempio quella delle maschere, ma anche le cosiddette Vessazioni – in cui è il viso a spiccare rispetto al resto del corpo: volti che sono sorpresi in pose contrite, volti martoriati, torturati. Infine c’è il discorso sul Medium, che è il più complesso anche perché ingloba i temi precedenti. A questa sezione è dedicata l’ultima parte del percorso espositivo di Lecce, ma anche l’intera sezione che si trova a Bisceglie. Le sedici tele esposte, infatti, intitolate per la maggior parte Schermi-schermi, denotano come sia lo stesso dispositivo a diventare soggetto. Per quanto riguarda invece la parte “medium” che si trova al Castromediano, abbiamo scelto soprattutto una serie di omaggi a maestri della fotografia del XIX secolo che Gioli rielabora sempre nell’ottica di un discorso che oggi molti studiosi amano definire “archeologia dei media”: parlo di autori come Eakins, Cameron, Talbot, Marey e altri.
Negli ultimi anni la Puglia appare sempre più proiettata verso il contemporaneo. Qual è la tua idea a riguardo e in che modo, secondo te, la mostra arricchirà la proposta culturale della regione?
La Puglia è culturalmente una delle regioni più ricche e stimolanti che abbiamo in Italia. Ha delle potenzialità ancora altissime e secondo me vanno sviluppate soprattutto in direzione del contemporaneo. Mi pare che si stia lavorando in questo senso. Inutile parlare dell’egregio lavoro fatto dalla Fondazione Pascali in tutti questi anni, ma certo la scelta di allestire la mostra al Castromediano di Lecce, oltre che a Bisceglie, nasce dall’idea di spostare un po’ il baricentro verso il Salento, valorizzando un museo che personalmente non conoscevo e che mi ha letteralmente lasciato a bocca aperta per la sua architettura, per le opere contenute, per la cura con cui è stata allestita la collezione permanente e per la collaborazione da parte del personale. Voglio anzi ringraziare il direttore Gigi De Luca per il lavoro che sta portando avanti e per aver voluto ospitare questa mostra e anche la prossima dedicata a Michele Sambin (che tra l’altro allestirà uno spettacolo su Gioli per l’inaugurazione). La vocazione verso il contemporaneo di questo museo dimostra come un museo archeologico possa aprirsi al contemporaneo sottolineando come e quanto il passato debba interloquire con il presente, suscitando nel pubblico emozioni sempre nuove e diverse.
La mostra sarà visitabile tutti i giorni, dal martedì alla domenica, dalle ore 9 alle 20, e resterà allestita fino al 9 maggio. L’evento inaugurale, i due seminari e Quando l’occhio trema performance su 9 film di Gioli ideata nel 2007 da Michele Sambin, in programma dal 5 al 7 marzo, saranno trasmessi in streaming sui canali social del Cineclub Canudo, del Museo Castromediano e di Palazzo Tupputi. Tutti gli eventi in programma sono gratuiti, ma l’ingresso sarà contingentato fino a un massimo di 50 visitatori per il Museo Castromediano e 20 per il Palazzo Tupputi, dando precedenza a chi avrà effettuato la prenotazione.
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