Il ritratto di Dorian Gray, di Oscar Wilde, termina con la celebre frase: «Tutta l’arte è completamente inutile». In via Francesco Bellucci Sessa 23, a Portici, nota per la prima linea ferroviaria d’Italia – la Napoli-Portici – c’è un vetrina come tante altre. O forse no. Il progetto “Negozio” nasce nel 2023 come opera artistica, in forma di project space, del collettivo damp, con la cura di Martina Campese di Attiva Cultural Project, sede ospitante del progetto. Uno spazio per l’inutile, scelto dai membri del collettivo (Alessandro Armento, Luisa de Donato, Viviana Marchio, Adriano Ponte) in linea con la loro ricerca sull’interesse per la natura temporanea delle cose e in dialogo con le specificità dei luoghi.
La vetrina in questione, infatti, ha una posizione strategica perché si interfaccia direttamente con il cuore della città, l’area mercatale, dove ci sono altre vetrine di altri negozi. Un progetto espositivo annuale, che presenterà le opere di diversi artisti senza inaugurazione ma che interagirà con un pubblico di non addetti ai lavori, per auto-dichiarare la propria assoluta inutilità.
«Né infrastruttura migliorativa, né fonte di sollievo visivo: sperimentiamo l’utilità dell’inutile dichiarandoci come tali dinanzi a un pubblico, senza tuttavia avere la pretesa di essere ascoltati. Negozio non risponde a un bisogno, non propone soluzioni, non intende innovare, né costruire. Negozio è un modo come un altro per cadere in contraddizioni irrisolvibili e abbandonarsi in posizione supina».
Dopo la prima esposizione di Giancarlo Norese (Novi Ligure, 1963) la vetrina di Negozio, ospita a fine maggio l’intervento video di Carmela De Falco (Napoli, 1994) Fino a dove il mio corpo riesce ad arrivare, sulla relazione tra interno ed esterno, tra individuo e comunità, attraverso i luoghi che l’artista abita. Abbiamo intervistato il collettivo damp per saperne di più.
Cosa vuol dire essere un collettivo per voi? E cosa vuol dire fare denuncia.
«Di getto, ci verrebbe da rispondere “niente”, però ci rendiamo conto che, essere un collettivo ha un forte valore politico, rafforzato dal fatto che noi portiamo la parola “collettivo” nel nostro nome. Quindi, significhiamo a prescindere dalla nostra volontà che, proprio come per Negozio, sarebbe semplicemente quella di essere, senza andare oltre il mero dato di fatto che “noi siamo”.
Fare denuncia vuol dire far valere il proprio punto di vista e avere una nozione chiara del giusto e dello sbagliato. A noi, invece, piacerebbe corrispondere alla descrizione che il collezionista Giuseppe Panza fa del lavoro di David Goerk: “Una ricerca della discrezione, una presenza umile che non vuole imporsi».
In questo caso non siete voi che esponete qualcosa, ma in un certo senso vi fate promotori di un progetto ideale, più che di un’idea progettuale, che porterà alla realizzazione di un format espositivo. Visto che il tema è l’inutilità o la mancanza di utilità, domanda ricorrente nel mondo dell’arte, che cosa non vi aspettate?
«Per noi Negozio è, a tutti gli effetti, una nostra opera che ha la forma di uno spazio per altrƏ artistƏ (project space) e che pone l’inutilità come una delle possibili declinazioni del fare artistico. Questa è forse una reazione alla recente tendenza dell’arte contemporanea nel darsi obiettivi, etichette, visibilità. L’aspettativa è una forma di speranza, una proiezione verso il futuro, cose a cui la contemporaneità ci ha disabituatiƏ. Trabocchiamo talmente di non-aspettative che ci risulta difficile individuarle».
168x300x25 è lo spazio della vetrina. In cosa si differenzia da una galleria d’arte?
«Non abbiamo molte esperienze con le gallerie, quindi non sapremmo dire con certezza quali siano le differenze con Negozio. Banalmente, ci viene subito da dire che il nostro progetto non ha finalità commerciali e poi ci sembra che le gallerie non possano prescindere dalla relazione con il pubblico, che siano possibili acquirenti o meno. Infatti, per le gallerie è centrale il momento del vernissage, perché è un’occasione di estrema interazione, di reale possibilità di intessere relazioni. Negozio potremmo dire che è asociale, non prevede momenti inaugurali o di ritrovo per il pubblico, tuttavia, il suo spazio si concede incondizionatamente all’altro. Negozio vuole camuffarsi nel contesto in cui si trova, eppure, quale negozio si chiamerebbe mai Negozio? Ecco forse la principale differenza con una galleria d’arte: la nostra assenza di coerenza».
Un anno di tempo e cinque artisti. Come e perché li avete scelti e vi hanno scelti?
«Per la scelta degli artistƏ ci siamo basatƏ semplicemente sull’interesse che avevamo per le loro ricerche. Con alcunƏ di loro abbiamo avuto esperienze condivise in passato, con altrƏ, invece, Negozio è stata l’occasione per entrare in contatto. Loro invece ci hanno sceltƏ per le seguenti ragioni (che citiamo testualmente):
– per una visione artistica condivisa;
– per la natura silenziosa del progetto;
– per l’accidentalità dello sguardo;
– per il passaggio frettoloso;
– per una forma di fiducia;
– perché è assolutamente inutile».
Portici non è esattamente il centro dell’arte contemporanea, ma grazie alla Reggia di Portici e all’area portuale è un bacino interessante a cui proporre un progetto espositivo sperimentale. Le opere saranno in vendita? Chi le comprerà visto che il target da voi rilevato non appartiene agli addetti ai lavori? Il format potrebbe essere riproposto altrove?
«Come format è ripetibile ovunque: infatti, abbondano da anni project space che si sviluppano in vetrine. Come opera, invece, non è ripetibile o, almeno, non è nostra intenzione riproporla altrove. Per noi Negozio ha un senso in questo esatto momento, con questƏ specificƏ artistiƏ, in quello specifico contesto.
Sempre per la nostra già citata incoerenza, abbiamo chiamato Negozio un luogo in cui non si vende nulla. Tale scelta non è dettata da un’avversione al commercio, quanto dal fatto che non rientra nell’apparato concettuale dell’intervento. Ciò non significa che abbiamo posto un veto agli artistƏ, semplicemente, non ci poniamo come intermediarƏ per eventuali vendite».
Come mai vi siete rivolti ad una curatrice, in questo caso Martina Campese di Attiva Cultural Projects, per questo progetto? La curatela che ruolo ha in questo caso?
«Martina Campese è innanzitutto la persona che ci ha messo a disposizione lo spazio e dinanzi alla possibilità di immaginarvi qualcosa. Questo può già considerarsi un atto curatoriale. L’intervento site-specific che è venuto fuori da tale incontro è stato Negozio che, in effetti, riesce a stare in piedi grazie a differenti forme di curatela (gestionale, concettuale, di costruzione e dialogo con gli artistƏ)».
Il primo ad inaugurare Negozio è stato Giancarlo Norese con il progetto editoriale il m.. Si tratta di un artista che vanta importanti collaborazioni nel settore e che per l’occasione ha esposto una serie di manifesti d’artista a tiratura limitata stampati nel 2020. Perché avete scelto lui per inaugurare Negozio?
«Anni fa, ci imbattemmo in un lavoro di Norese del 2014 per la Nowhere gallery di Milano. La galleria lo invitò a realizzare un’insegna luminosa per il suo spazio. L’intervento consisteva in una semplice scritta nera su fondo bianco: Negozio. Nella sua semplicità, ci sembrava un’opera fortemente densa e anche irriverente. Mentre elaboravamo la nostra idea per la vetrina di Portici, continuavamo a pensare a quella scritta, alla sua incisività, alle contraddizioni che poneva. Ragion per cui ci sembrava assolutamente logico iniziare con Giancarlo: si può dire sia stato la nostra musa. Il progetto che ha proposto per Negozio crea una sorta di ipertesto: un collettivo di artistƏ chiama un artista per presentare un’opera che si compone di interventi di diversƏ artistƏ».
In un sistema che sembra basarsi più sul mercato che sulla ricerca, un progetto come questo non rischia di rappresentare l’ennesimo tentativo di denuncia, ascoltato solo da pochi?
«A noi piacerebbe parlare di sistemi. Sicuramente, quello guidato dal mercato si fa notare più di tutti, però ce ne sono tanti altri che, in maniera più discreta, si dedicano alla ricerca svincolati dalle logiche di mercato. Non volendola fare, pensiamo che no, Negozio non corra il rischio di rappresentare l’ennesimo tentativo di denuncia. Sull’essere ascoltatƏ da pochi, poi, per noi va benissimo così. Citando Vegetali Ignoti, un progetto artistico tra arte e non arte che si è sviluppato ed estinto tra il 1994 e 2009: “è anche merito degli ignoti se il mondo va avanti, il successo non deve passare solo dalla riconoscibilità pubblica”».
Cosa e quanto c’è di collettivo damp in questo progetto?
«Potremmo dire senz’altro che Negozio contiene la “e”, la “i” e la “o”: tre lettere di collettivo damp».
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