Della rete degli ospedali storici italiani ACOSI, l’Ospedale Civile di Venezia è tra i fondatori nel 2019. Questo ente, che è riconosciuto dal Ministero della Cultura e dal Ministero della Sanità, si ispira a valori che sembrano aver abbandonato a tratti in questi anni le coscienze, come la carità e la spiritualità, nell’ottica della medicina. La finalità – ma potremmo dirla una necessità civile, suprema – è rinsaldare il rapporto biunivoco tra cura e cultura, cura ospedaliera, studio, arte e storia, per non disperdere i saperi del passato informando il presente nel vivere quotidiano e, dunque, anche in caso di malattia.
Proprio al Civile di Venezia la Fondazione Museo della Scuola Grande di San Marco e la Sanità, in collaborazione con Fondaco Italia, si fa promotrice di un ciclo di mostre con artisti internazionali a cui è chiesto di interpretare gli spazi storici della Scuola, il cui edificio, prestigiosa testimonianza dell’architettura della fine del XV e la metà del XVI secolo, è in dotazione della Azienda Ulss 3 Serenissima. Dal 1819 l’ingresso alla storica sede della Confraternita/Scuola marciana, massima istituzione della città nel virtuoso sistema veneziano delle scuole, corrisponde anche all’ingresso dell’Ospedale SS. Giovanni e Paolo.
Ed è certamente curioso raggiungere l’ambiente ospedaliero per visitare una mostra ma questa esperienza dà la cifra dello spessore civico di una tal società in una città, piuttosto che in un’altra. Al di là dei gusti, si tratta della possibilità di un incontro estetico che sposta anche solo accidentalmente lo sguardo da sé, su l’Altro, sugli altri, autori e opere, storiche e contemporanee dalle proprietà terapeutiche, in una dinamica simbolica di guarigione. Il progetto Nel segno della cura, di Giovanna Zabotti, Alessandro Pedron e Mario Po’, si rivolge infatti a chiunque, tra pazienti, cittadini veneziani, sanitari, ospiti o visitatori della città, attraversi l’ingresso dell’Ospedale o vada a visitare gli ambienti museali della Scuola Grande, riaperta al pubblico dal 2013. La soglia viene ad avere una posizione iniziatica.
La prima delle mostre è stata affidata all’artista Sidival Fila (Stato del Paranà, Brasile, 1962), Fra Sidival Fila, sacerdote dell’Ordine dei Frati Minori di San Francesco d’Assisi, in servizio a Roma, al Convento di San Bonaventura al Palatino, che torna a Venezia con Paesaggio inedito, dopo la sua partecipazione da religioso alla Biennale Arte del 2019 tra gli artisti del Padiglione Venezia curato da Giovanna Zabotti. Golgota, un suo polittico lì presentato, oggi è esposto permanentemente nella Sala dei Santi dell’Appartamento Borgia dei Musei Vaticani.
L’elevazione artistica accompagna l’elevazione spirituale. L’arte negli ambienti di cura, nei luoghi della sanità, si diceva, si propone come uno strumento di terapia alla convergenza di più saperi e discipline, prassi e protocolli. Laddove a Venezia la si incontra già solo volgendo verso l’ospedale, nel Campo SS. Giovanni e Paolo, nell’incontrare tra gli altri la chiesa intitolata ai due santi, il monumento equestre a Bartolomeo Colleoni della bottega del Verrocchio, prima ancora di imbattersi nella mirabile facciata dell’edificio della Scuola Grande, tra i più caratteristici esempi dell’architettura veneziana; una volta entrati, lì risiede il patrimonio storico-artistico e documentale della scuola, la Biblioteca e il Museo della Medicina, la Farmacia e il Museo di Anatomia Patologica.
Sidival Fila si è dedicato agli spazi “cucendo” un percorso di opere che si concentra nella Sala Terrena, il Portego delle colonne anche salone d’accesso originariamente punto di incontro della confraternita, dove la sua pratica, incentrata su azioni di destrutturazione-ricostruzione-rinascita-riuso dei materiali, soprattutto tessili, trova piena espressione con ragguardevole rispetto dell’identità specifica del luogo, della magnificenza architettonica e decorativa e della funzione del palazzo.
L’installazione di venti sculture di Paesaggio inedito, che dà titolo all’intero percorso, si inserisce centralmente nel doppio filare di colonne corinzie su basamenti decorati seguendone lo sviluppo spaziale, e consta di vecchi pali di legno, originali del Seicento, sospesi e fluttuanti, rivestiti di colorati scampoli di allegre sete ottocentesche. Seta, che ritroviamo su telai a parete, nel numero di tre, che l’artista recupera e ricuce in forma di quadro.
Si tratta qui della pregiata Tessitura Bevilacqua, marchio d’eccellenza artigianale veneziana, ottenuta da una lunga lavorazione con macchinari anticamente usati dalla Scuola della Seta della Serenissima. Assolutamente riconoscibile nel mondo, questa produzione avviata nel 1875 è una protagonista di questa mostra. Coinvolgendo elementi identificativi della cultura veneziana, l’artista fa perno sulla sensibilità artistica che fonda e rinnova la grandiosa bellezza di una società, e che può avere valenza curativa. Un messaggio che lancia con tutta la sua ricerca.
I legni, dell’aspetto delle tipiche brìcołe lagunari, montati a coppie, possono apparire come stampelle adornate o addirittura corpi in movimento, nuovamente in cammino, rappresentativi di una felice riabilitazione. Così come per le tele Bevilacqua a parete, che mostrano come una sorta di sutura delle ferite attraverso la trama e ordito di fili intersecanti a formare un rinnovato “tessuto sociale”.
Sulla parete opposta, Sidival Fila presenta altre cinque medio-grandi strutture con cui passa dai tessuti storici da lui ricuciti al poliestere industriale, una fibra sintetica, un polimero – non a caso viene da pensare – che deriva da materiali di riciclo, che utilizza a comporre rigorosi pannelli dal pattern geometrico. I fili, materici e metaforici, che si intrecciano nel presente lasciano comunque intravedere i muri retrostanti con delle lapidi commemorative, non dimenticando né coprendo il passato.
Nella pratica del frate si dimostra fondamentale la rivitalizzazione dopo un recupero, di materiali ed energie, dello spirito delle cose. La Fondazione Filantropica a suo nome, con sede a Frascati, si occupa infatti senza scopo di lucro, ma anche attraverso le vendite delle sue opere, di sostenere degli istituti di carità. Proprio quella charitas (et amor) che guidava la missione sociale della Scuola Grande e che ispirò l’apparato decorativo del palazzo.
La mostra prosegue con un’opera al piano superiore nella sala museale detta Capitolare, destinata dapprima alle celebrazioni liturgiche e assemblee, poi utilizzata come camerata di degenza e successivamente riconvertita all’uso attuale di Biblioteca Monumentale del polo medico-scientifico dell’ospedale, in cui si trovano straordinarie opere pittoriche di soggetto sacro.
Il dialogo di Fila è con l’intero ricchissimo ambiente e più direttamente con uno dei capolavori di Domenico Tintoretto, figlio di Jacopo, Apparizione di San Marco (post 1600 – ante 1635, data del Catalogo generale dei Beni Culturali): la sua grande tela dalla serie Sindoni presenta la fodera incollata e cucita di una dalmatica ottocentesca con il ricamo di un fiore in seta, che spalancata disegna una croce. Come si legge in didascalia “è intrisa di sudore”, rendendosi evidenza del corpo umano e richiamando il braccio di San Marco, dell’attigua “Apparizione”, che emerge dalla sepoltura, così manifestandone la presenza ai tanti confratelli della Scuola lì magistralmente dipinti.
Quanto al suo, «Materia, tempo e storia si rivelano dalle pieghe del tessuto», dichiara Fila. Risalta l’essenzialità disadorna dell’abito liturgico che ha scelto di esporre, in nome dell’altissima povertà del francescanesimo, in rapporto agli abbaglianti ornati del cinquecentesco soffitto ligneo a cassettoni della sala e della vicina Sala dell’Albergo.
Si può dire un percorso luminoso, in cui il contemporaneo è all’altezza della tanta forza della Scuola Grande intitolata al patrono San Marco, altrettanto seducente e in armoniosa continuità di intenti.
La mostra di Sidival Fila a Venezia sarà visitabile fino al 13 dicembre 2024.
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