08 aprile 2025

Newyorkers a Napoli: Joan Jonas e Ryan Sullivan da Zweigstelle Captain

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La sede della galleria Zweigstelle Capitain a Palazzo Degas di Napoli presenta una doppia mostra di due artisti newyorchesi doc: Ryan Sullivan e Joan Jonas, con un reading all'Acquario Anton Dohrn

Installation view, Acquario Anton Dohrn, Napoli. © Joan Jonas/Artists Rights Society (ARS), NewYork Courtesy the artist and Galerie Gisela Capitain, Cologne Photo Alwin Lay

Negli affascinanti spazi di Palazzo Degas a Napoli, Zweigstelle Capitain VII presenta le personali di due artisti americani apparentemente molto dissimili tra loro ma uniti da una relazione, privata o meno, con l’atto performativo. Joan Jonas, pioniera dell’arte performativa e icona femminsita internazionale, utilizza vari media per parlare della nostra relazione con l’ecosistema. Ryan Sullivan, artista visivo di base a Manhattan, esplora tramite l’astrazione dell’atto pittorico il passare del tempo e la sua archeologia in relazione con la storia della pittura.

© Ryan Sullivan. Courtesy the artist and Galerie Gisela Capitain, Cologne Photo Alwin Lay

Joan Jonas, storie intorno al Vulcano

Le prime due sale della galleria sono dedicate al lavoro di Jonas e presentano il capolavoro Volcano Saga (1985-1994), un’installazione multimediale recentemente esibita nella retrospettiva dedicata all’artista dal MoMA di New York nel 2024.

In questa opera elementi naturali “diventano personaggi” all’interno di una narrazione volta all’esplorazione dell’individuo e della femminilità tramite la rappresentazione del legame tra natura e mito. Jonas sceglie la Laxdaela Saga, una storia folkloristica islandese del tredicesimo secolo e racconta le vicende di una donna, Gundrun, le cui avventure si snodano attorno a quattro misteriosi sogni che richiedono i servizi di un indovino, Gest. Nell’opera, i quattro sogni divengono quattro video vulcanici sulla quale l’artista, dal 1985 al 1987, risponde con delle performance live.

A dimostrazione della complessità, della stratificazione e della costante evoluzione semantica e visiva delle opere di Jonas, nel 1989 Volcano Saga diviene un cortometraggio con Tilda Swinton e Ron Vawter nei ruoli dei protagonisti e, in seguito, un’installazione multimediale che unisce i video e oggetti di scena.

Oggi l’opera è esposta nella mostra napoletana e l’artista confessa di essere «Curiosa di vedere la reazione del pubblico», perché «Più capace di avere un rapporto personale con il vulcano» e di ritornare con il pensiero a Jules Verne e a quando «Aveva pensato di fare un’opera ispirata al romanzo Viaggio al centro della terra e al Vesuvio».

Installation view, Joan Jonas, Volcano Saga, 1985 / 1994 © Joan Jonas/Artists Rights Society (ARS), NewYork Courtesy the artist and Galerie Gisela Capitain, Cologne Photo Alwin Lay

Attratta dalla natura fin da piccola, Joan Jonas, classe 1936, è una delle figure di spicco emerse sulla scena artistica di New York alla fine degli anni ’60 quando, desiderosa di sperimentare, iniziò a collaborare con performer, ballerini e artisti visivi come Merce Cunningham e Trisha Brown. In Wind (1968), la sua prima performance, l’artista racconta di un gruppo di ragazzi che combattono il vento gelido sulle rive dell’oceano a Long Island. Questa esperienza le permette di spostarsi dalla pratica scultorea a una pratica artistica basata sull’azione, sul suono e sul coinvolgimento dei sensi nello spazio.

Dal portapak ai disegni, dalla macchina fotografica al corpo, Jonas utilizza i media in maniera “intercambiabile” per registrare ed esplorare l’identità femminile e il mondo naturale che la circonda. I disegni, infatti, sono per lei un modo di «Portare il mondo naturale nelle performance e nelle sue installazioni ambientali».

Installation view, Acquario Anton Dohrn, Napoli. © Joan Jonas/Artists Rights Society (ARS), NewYork Courtesy the artist and Galerie Gisela Capitain, Cologne Photo Alwin Lay

 

Dal 2010, con l’opera Reanimation, Joan Jonas ha avviato una riflessione sistematica sulle conseguenze dello scioglimento dei ghiacciai e, poco dopo, in opere come They Come to Us without a Word (2015) e Moving of the Land (2016-19), esplora la vulnerabilità degli ecosistemi marini e la nostra relazione con gli oceani. Inizia così un progetto di ricerca negli acquari marini di tutto il mondo, che la riporta a Napoli dove, nel 1972, aveva visto per la prima volta un cavalluccio marino all’Acquario Anton Dohrn. Immutato dal 1987, l’acquario riapre le porte e i suoi archivi a Jonas, che elabora una mostra giustapponendo disegni di pesci e creature marine a illustrazioni ottocentesche d’archivio. Circondata da stelle marine, polpi e pesci di varie specie nell’acquario, l’artista, con la sua inconfondibile voce bassa e rasserenante, ha letto alcuni versi tratti da La soglia del mare, libro di Rachel Carson, e ci parla della meraviglia dei mari e delle creature marine come esseri dotati di sentimenti. Al termine del reading, Jonas conclude con un invito a «Trovare i nostri piccoli miracoli», proprio come lei trovò nei cavallucci marini la meraviglia del mondo.

Ryan Sullivan, il tempo della rappresentazione

Parallela all’esposizione di Joan Jonas, la mostra personale di Ryan Sullivan propone una serie di grandi opere astratte e disegni in cui l’atto performativo diventa personale e intimo. Dotate di una luminescenza intrigante, le opere in mostra nascono in risposta alla visita alla mostra Sinea: The Rise of Painting al Metropolitan di New York e vedono Sullivan utilizzare per la prima volta pigmenti metallici di oro, rame e alluminio. Muovendosi nella tradizione dell’Espressionismo Astratto americano, le opere sono create orizzontalmente attraverso un processo di stratificazione di elementi materici e resine. Il risultato sono tele piatte e non figurative in cui il gesto e la pennellata sono leggibili ma non protagonisti. A interessare l’artista è il tempo necessario alla stratificazione, la diversità luminosa tra il fondo e colore e il desiderio di creare in pittura motivi universalmente riconoscibili ma non decifrabili.

© Ryan Sullivan, Courtesy the artist and Galerie Gisela Capitain, Cologne Photo Alwin Lay

Ogni opera, che sia su carta o autosufficiente, fa parte di una performance privata e autobiografica, collocandosi prima o dopo uno scatto fotografico in metropolitana, durante il tragitto da o verso lo studio. Ogni lavoro di Sullivan, come afferma l’artista Amy Sillman, è «un’esplorazione» e manifesta un desiderio sconfinato di comprendere il fluire della materia, interscambiando il disegno – quale pratica esplorativa – con la pittura.

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