Nico Vascellari al Forte Belvedere di Firenze: l’arte, una pesca nel fango

di - 10 Agosto 2023

Dopo Jan Fabre, Giuseppe Penone ed Eliseo Mattiacci, il Forte Belvedere di Firenze torna a essere percorso dal lavoro poliedrico di un artista contemporaneo, con un progetto espositivo inedito, MELMA, l’ultima personale di Nico Vascellari (Vittorio Veneto, 1976), a cura di Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento di Firenze. Promossa dal Comune di Firenze e organizzata da MUSE, l’esposizione sarà visitabile fino all’8 ottobre e si dipana su tre piani per tutta la struttura rinascimentale, fino ai suoi spazi esterni. Si tratta della prima tappa di un vasto programma, lungo un anno, che l’artista ha immaginato appositamente per la Città e che lo vede di nuovo protagonista, nel capoluogo toscano, a seguito della sua precedente mostra del 2003. Da Piazza della Signoria a Palazzo Vecchio fino al Museo Novecento, si viene a creare una triade volta a ospitare tale ardito progetto.

«La scelta del titolo richiama una materia primordiale, qualcosa che cela la vista e proietta sull’ignoto, inteso sia come mondo interiore sia come tensione verso l’esterno», spiega Vascellari, vincitore del Premio Pino Pascali 2022. «Melma per me è una condizione esistenziale. Ho sempre parlato dell’arte come una pesca a mani nude nel fango, dove è possibile trovare ciò che non conosci, ma che tenti di riconoscere. La melma richiama per ognuno di noi qualcosa di paludoso, magmatico, ma rimanda anche ad alcune mitologie per le quali tanto la foschia quanto la melma sono portali che permettono l’accesso al magico e al misterioso».

L’incedere sacrale di un percorso espositivo che interroga su un comune senso d’appartenenza

MELMA prevede un percorso espositivo di oltre 30 opere realizzate con mezzi diversificati, concepite per tale occasione, in una dicotomia continuativa tra umano e natura, corruzione e rigenerazione, l’esistenza e il suo contrario. All’esterno del Forte, nove installazioni in alluminio costellano i bastioni e il giardino. Esse appartengono alla serie Horse Power (2023), simbolo di un linguaggio che dialoga con l’iconografia esoterica, attraverso un ibrido zoologico-meccanico.

All’interno delle “cannoniere”, come in una caverna, echeggia un richiamo atavico dai video Fossil of Experience (2023) e Horse Power (2019). Questi si pongono come riflessione sensibile dello “spirito animale” che s’insinua nella realtà e, profondamente, nell’uomo. Nel primo caso, una serie di riflessi su vetri documentano i movimenti di mammiferi, sovrapposti ai dialoghi dei visitatori di uno zoo. La lastra di vetro si fa mezzo e metafora d’incomunicabilità, pure tra i dialoghi aleggianti.  Nel secondo caso, macchine private di cofano sono corredate da sculture di animali in cera. Si scontrano l’un con l’altra come in una lotta di sopravvivenza, scorrazzano in un’area post-industriale come in una danza selvaggia.

Al centro della facciata esterna, si erge invece Falena (2022), un’installazione circolare di oltre due metri. Forse l’astrazione di un insetto notturno in crescente ricerca di luce o forse un sole metallico, i cui “fulgidi raggi” assumono le sembianze di falci dorate. Essa porta con sé l’emblema di una natura romantica, materna e spietata, creatrice e distruttiva, capace di riflettere l’ambivalenza catturata da Vascellari.

All’interno della struttura, per il primo piano è stata studiata un’atmosfera immersiva che possiede, come fulcro, la proiezione dell’estrema performance Visita Interiora Terrae, che vede l’artista sollevato da terra, in un sonno indotto, da un elicottero che sorvola la Foresta del Cansiglio. I suoni del video – gli alti e i bassi – provengono da due sale attigue, per ricreare un’esperienza sonora definita dallo stesso artista «Scultorea». È un’amplificazione dell’impatto della proiezione, scandita in tre atti, con un effetto assordante, che spinge allo straniamento e all’abbandono. Cinque riviste di Vogue per ogni muro, sono ricoperte da muschi e licheni, a seguito del gesto di “seppellirle”, una modalità che implica il tentativo di decomposizione e che si rivolge fino al black metal norvegese, per una «Non differenziazione che permette di scavare in noi qualcosa che è stato dimenticato, ma non distrutto».

Al piano superiore, dopo Falena, ritorna il concetto di ciclicità con Urobòro (2022), una scultura in legno e copertone di moto, che riflette sulla sopraffazione dell’attualità attraverso la potenza di un simbolo antico, proveniente dall’Egitto e che affonda le radici nell’alchimia e nella filosofia nietzschiana di un eterno ritorno dell’uguale. Una serie di teste bestiali, scheggiate o mozzate, realizzate con la tecnica della cera persa, vengono esibite lungo le pareti come allusione violenta ad alcune tradizioni arcaiche. Esse partecipano, metaforicamente, a un processo di disunione e, al contempo, a due rituali che alludono alla sepoltura e alla cremazione, come ulteriore punto di contatto tra mistico e terreno.

Poi vi è l’installazione Tre, Quattro Galline (2022), una gabbia di legno che si agita autonomamente, che emette suoni e schiamazzi automatici, come se racchiudesse «Animali vivi, come in un allevamento intensivo». Una creazione realistica al punto da creare stupore e scalpore nel pubblico, che ne rimane tanto coinvolto emotivamente da giungere perfino a domandarsi se si tratti soltanto di finzione artistica.

Al terzo e ultimo piano, una lampada mobile e minimale, dal boettiano senso rivelatorio, si illumina in modo alternato, a far luce in questa “terra intrisa d’acqua” che cela una verità non solo umana.

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