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Not Vital, Ad agosto ritornano le rondini – Galleria Alfonso Artiaco
Arte contemporanea
Non sono nuvole, o forse sì. Eppure non resta che salire le scale in piperno di uno storico palazzo in piazzetta Nilo per scoprirlo. Qui, come una matrioska che aspetta solo di essere aperta, le sei sale della Galleria Alfonso Artiaco accolgono la prima personale dell’artista svizzero Not Vital. “Ad agosto ritornano le rondini” è il titolo di un viaggio espositivo che ripercorre le tappe, care all’artista, in quei luoghi che l’hanno reso tale. Roma, New York, Cairo, Pechino, Rio de Janeiro e poi l’Indonesia e l’Oceania, per citarne alcune. Una carrellata di opere esposte quasi singolarmente, come di consueto per la galleria Artiaco, raccontate in un lungo piano sequenza, in modo da coglierne la rassomiglianza nella diversità.
A iniziare il percorso, due colossali lingue in bronzo bianco e granito nero (Tongue 2022, 2018), preparano all’estasi, seducendo gli occhi. Si tratta di un’opera che l’artista ha riprodotto in diversi materiali e taglie, da quando, nel 1985, aveva realizzato un calco da un esemplare vero acquistato da un macellaio a Lucca.
Nel 2009 questo poliedrico artista ha coniato il termine “SCARCH” per definire la sua visione poietica e poetica a metà strada tra scultura e architettura. Le sue opere sono come una liaison materica e formale che testimonia la sua profonda ricerca nei luoghi che ha vissuto, uno specchio in cui poter far riflettere i propri sogni. E come in un sogno o una pareidolia al contrario, ecco che in una pietra scoperta in Cina, sembra di vedere, nella parte marmorea tagliata, delle nuvole. Le tre opere (Piz 2011, Boat 2011, Clouds 2011) parte della serie Dali Stone, sono incastonate in cornici che richiamano le forme delle finestre engadenesi, tema ricorrente nella sua produzione.
Un altro ruolo esponenziale/predominante è dato dalle grandezze, con cui Not Vital sembra giocare, quasi a volerle rendere plasmabili a suo piacimento, ma sempre nei canoni di quel gusto minimalista a cui sente di appartenere, facendolo suo. Piz Ajuz (2022) è la fragile versione in gesso su fil di ferro di una delle cinque montagne presenti nella zona di confine tra Engadina e Alto Adige. Qui, nel luogo indissolubilmente legato alla sua infanzia, ha aperto, nel 2003, una Fondazione, costruito un parco di sculture e, nel 2016, ha acquistato il castello di Tarasp, risalente al XII Secolo, che si trasformerà in un centro culturale.
L’essenziale eleva e, allo stesso, tempo rivela le forme pure, primordiali e vere che emergono dalle sue sculture, ma anche la loro instabilità. Nonostante siano realizzate con materiali resistenti come l’acciaio, le sculture a forma di asta (Tower 2016) sembrano pericolosamente appoggiate alle pareti e la loro verticalità quasi costringe l’occhio a volgere lo sguardo verso l’alto, facendolo entrare in quel meccanismo di equilibrio precario. Il suo è un richiamo quasi spirituale che l’ha portato negli ultimi 15 anni a voler realizzare il progetto House to Watch the sunset (2016) in ogni Continente, seguendo lo stesso progetto ma con materiali di volta in volta diversi e legati al luogo ospitante.
A chiudere il percorso, tre Self-portrait (2021, 2022) sembrano guardarsi dentro e attraverso, segnano il periodo maturo in Cina, in cui è visibile sempre e solo l’aurea del contorno della testa e il nome Not, sullo sfondo monocromo dai tipici toni grigi dell’Engadina. E, infine, l’opera tributo Totò (2022), quasi una lapide futurista, che fa parte della serie di ritratti a celebri personaggi, realizzata in argento, seguendo le linee astratte e perfette del linguaggio geometrico, la data di nascita del grande attore, che, straordinariamente, coincide con la sua.