La October Gallery è uno spazio collocato nel centro di Londra, a pochi passi dal British Museum, che ha scelto di specializzarsi in “arte non occidentale”. È gestita non da privati, come abitualmente succede, bensì dall’associazione no profit Ecotechnics, responsabile di una serie di progetti internazionali di stampo etico, come il recupero delle foreste centro americane o del deserto del New Mexico, la lotta all’impoverimento del suolo in Australia o lo sviluppo della Biodiversità in Provenza. La galleria è quindi passata dalla ricerca degli artisti “outsider” all’arte africana e indiana e, nel tempo, ha stretto collaborazioni con istituzioni e musei, portandone la vitalità all’attenzione del grande pubblico.
La October Gallery è situata al 24 di Old Gloucester Street, nel quartiere di Bloomsbury, all’interno di un edificio con una pianta a “L”, la parte aperta delle due braccia che costituisce la courtyard (una sorta di “giardino delle meraviglie”) che affaccia su un ospedale per bambini. Dalla corte, una scala esterna conduce agli appartamenti posti al primo piano, che ospitano gli artisti e le loro famiglie nei periodi dell’allestimento delle mostre, per i membri e per i giovani stagisti, il tutto in un clima multietnico, multiculturale e multigenerazionale.
La scala prosegue al terzo piano, fino all’appartamento più grande, quello della fondatrice della galleria, Chili Hawes, al club e al teatro. Tutto, naturalmente, è polifunzionale: il club è anche la biblioteca dell’October Gallery, il teatro è allo stesso tempo sala conferenza o sala per prove di danza o ginnastica. Tornando al piano terra, le due braccia interne della “L” contengono la galleria vera e propria; in fondo, infine, si trova una grande cucina che è il motore fondamentale del progetto di Mixité.
Questo mix di funzioni e spazi rappresenta il vero motore propulsore della October Gallery, attraverso il quale riesce a essere come una macchina pulsante nel territorio che la circonda. Tante le mostre memorabili (circa 12 all’anno per 40 anni): dalla prima, “Angaza Afrika: African Art Now“, per passare a “Brion Gysin: Calligraphy of fire“, alla personale di Romuald Hazoumé che presentava all’Horniman Museum di Londra la Bouche du Roi, una sorta di terribile barcone sul viaggio degli schiavi. Tra le mostre riunite sotto il tema “Transvangarde”, “Nomadic Resonance“, incentrata sulla cultura nomade, che raccoglie sette artisti sorprendenti: dall’opera meravigliosa di El Anatsui, un «Tappeto magico», scrivono le direttrici, «Che attraversa paesi e culture», a quella Sylvie Franquet, passando ancora per Romuald Hazoumè e poi Alexis Peskine, LR Vandy, Rachid Koraïchi’s e alcuni acquarelli del ricordato Bryn Gysin che ha passato gran parte della sua vita appunto in perenne movimento a partire dall’amato Marocco.
La galleria ha una densa produzione di mostre ma anche di eventi collaterali. Sino al 18 gennaio 2023 vi è la personale di Govinda Sah Azah, “AAbsent Presence”. L’artista del Nepal offre uno sguardo tra naturalismo e astrazione, attraverso composizioni di respiro atmosferico che fanno pensare a Turner. Sicuramente, per chi è a Londra, si tratta di un’ottima occasione di conoscere questo artista originale e interessante, di visitare la galleria e, magari, assistere a qualche conferenza o concerto inclusi nel ricco programma invernale.
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