Possiamo solo immaginare l’espressione che sarà comparsa sui volti dei membri dello staff della Fondazione Beyeler, mentre Olafur Eliasson illustrava il progetto che avrebbe voluto realizzare per Life, la sua installazione, riassumibile in poche parole: allaghiamo tutto. E visto che per Olafur Eliasson nessuna volontà è impossibile da compiere, alla fine così è stato e le acque del laghetto, che solitamente sta al suo posto nel giardino, sono state fatte defluire nelle sale del museo di Basilea. In fondo, stiamo pure sempre parlando di un artista che ha trainato fatto trainare 30 blocchi di un iceberg, dal Polo Nord alle rive del Tamigi. Insomma, l’acqua è la sua materia, in qualunque forma e stato essa sia.
Chi non sa nuotare non deve aver paura, visto che i visitatori possono percorrere questi “canali espositivi” su una serie di passarelle che magari non manterranno i piedi proprio all’asciutto ma, almeno, fanno in modo da evitare una poco decorosa full immersion. Visto che il livello dell’acqua, in alcuni punti, raggiunge gli 80 centimetri. E poi, nell’acqua già galleggiano, molto placidamente e con più grazia, diverse specie vegetali lacustri, tra ninfee e felci, selezionate dall’architetto paesaggista Günther Vogt. E non è finita: per approfondire l’effetto spiazzante, Olafur Eliasson ha fatto rimuovere i ben noti pannelli di vetro della facciata della Fondazione Beyeler, per creare una continuità tra l’interno del museo, trasformato in un ecosistema acquatico, e l’esterno, già fortemente caratterizzato dal rigoglioso giardino. Che poi, l’idea originale di Renzo Piano, autore della bella architettura svizzera, era proprio quella di creare un unicum tra il dentro e il fuori.
Nulla è lasciato al caso, anche le sfumature cromatiche e i passaggi visivi: simile a un prolungamento flessuoso della terra, l’acqua è stata tinta di un verde splendente, ottenuto con l’uranina, un colorante organico comunemente adoperato per osservare il flusso delle correnti d’acqua e che Eliasson ha già impiegato per un’altra opera, Green River, con la quale ha colorato i fiumi di Stoccolma, Tokyo e Los Angeles. Life è un progetto che affascina ma inquieta anche, perché il messaggio che Eliasson vuole lanciare è piuttosto un avvertimento: siamo sull’orlo di una catastrofe e stiamo facendo di tutto per compiere l’ultimo, fatale passo.
«Insieme alla Fondazione Beyeler, rinuncio al controllo sull’opera d’arte, per così dire, consegnandola a visitatori umani e non umani, alle piante, ai microrganismi, al tempo, al clima», ha dichiarato Eliasson nella nota che accompagna l’installazione, nella quale dà il benvenuto a quegli elementi che i musei, di solito, tendono a mantenere all’esterno, fatta eccezione per gli umani, almeno nella maggior parte dei casi. Il lato sud dell’edificio rimarrà esposto alle intemperie per tutta la durata della mostra, che si concluderà a luglio. «Anche se non ci sono visitatori umani nello spazio, altri esseri – insetti, pipistrelli o uccelli, per esempio – possono volare o occupare una dimora temporanea al suo interno», continua Eliasson, che fino a ora ha contato, tra i visitatori, anche qualche oca, oltra a diversi gatti. La pandemia ha imposto una stretta sul controllo degli individui ma questa volta la vita scorre senza controllo: «Negli ultimi anni, mi sono sempre più interessato agli sforzi per considerare la vita non da una prospettiva antropocentrica ma da una prospettiva più ampia, biocentrica», continua Eliasson.
Coloro che non possono visitare la mostra fisicamente, potranno comunque dare un’occhiata grazie a un live streaming, con telecamere dotate di diversi filtri ottici che «alludono a prospettive non umane».
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