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On the wall – BUILDING
Arte contemporanea
La pittura non invecchia e le forme si trasfigurano, si rigenerano nelle alterazioni fluide tra reale e immaginario; aprendo visioni dentro e fuori spazi immateriali. Come lo si vede nella galleria Building a Milano con la mostra “On the Wall” a cura di Demetrio Paparoni, dove rapiscono lo sguardo opere di Paola Angelini, Rafael Megall, Justin Mortimer, Nicola Samorì, Vibeke Slyngstad e Ruprecht von Kaufmann.
Quaranta opere di pittura figurativa per lo più di grandi dimensioni, irradiano di colore tre piani della prestigiosa galleria – forziere dagli ambienti algidi e minimalisti rigorosamente bianchi, realizzate per questa mostra o mai esposte prima.
La collettiva di sei artisti di fama internazionale diversi per età, provenienza, formazione ed esperienze si propone come il proseguimento delle riflessione iniziata con la collettiva “Le Nuove Frontiere della Pittura” (2018), e continuata con “L’Ultima Cena dopo Leonardo” (2019), nell’ambito delle celebrazioni del centenario della morte di Leonardo, entrambe ospitate alla Fondazione Stelline di Milano, curate da Paparoni.
Il titolo volutamente ambiguo invita a riflettere su i non limiti della pittura, sul muro o oltre il muro? Questo è il dilemma, e qui ognuno trova o forse no, una non ragione della pittura come autentica necessità espressiva dell’artista, intima e poetica, soggettiva e universale insieme per sconfinare tra realtà e finzione. Tutto inizia là dove il quadro diventa anche “ finestra” aperta sull’immaginario con figure e forme non tutte così evidenti, dalle pennellate fluide e colori evanescenti e perturbanti.
Il viaggio oltre la pittura, dentro il delirio delle verosimiglianze e dissoluzioni formali potrebbe iniziare, ma anche no, poiché il percorso espositivo lo decide lo spettatore, dalle grandi opere di Justin Mortimer ( Cosford, 1970), che fagocita lo spettatore nelle sue deliranti scenari claustrofobici e visionari. Nei suoi ambienti caotici e immobili seppure ordinati sul piano compositivo, sono risolti in un mix di immagini sovrapposte estrapolate da internet e da diversi materiali d’archivio di vecchi libri e riviste, in cui malattia, nevrosi, evasione dalla realtà imbrigliata dentro schermi luminosi dei Pc o cellulari, vince l’inganno della pittura dai colori deflagranti .
Ci inoltriamo nel tunnel della pittura oscura e misteriosa , magmatica, con le opere di Nicola Samorì (Forli, 1977), capace di smaterializzare la solennità della pittura del Cinquecento e Seicento e di polverizzare figure scultoree ispirate alle grandi opere della tradizione della storia dell’arte, massi che sembrano sgretolarsi da un momento all’altro sotto il peso di un destino sconosciuto e dalla modernità, complessa e confusa. L’artista romagnolo dipinge anche su superfici di rame e pietre dure , mescolando la pittura con peculiarità materiche in “un so che” di sublime decadenza.
Vibeke Slyngstad (Oslo, 1968), si distingue con paesaggi di eco romantico in cui fotografia e pittura sono in perfetta simbiosi, spiccano i suoi bagliori apparentemente rasserenanti che oltrepassano i muri in cui si materializzano paesaggi di luce; squarci di macchie luminose che aprono vedute fuori e dentro la realtà, senza tradire l’essenza della oggettiva bellezza della Natura.
Rupercht von Kaufmann (Monaco, 1974), inchioda lo sguardo dentro dipinti inquietanti, giocando sull’ambigua relazione tra umano e inumano, mondo animale, vegetale e minerale, mettendo con le “spalle al muro”, l’osservatore anche distratto difronte alla sua responsabilità della catastrofe ambientale. E’ una pittura drammatica la sua, che configura l’inesorabile fine del legame sacro tra l’essere umano e la Natura, violata dalla civiltà tecnologica.
Rafael Megall (Yerevan, 1983), intrappola abilmente elementi della cultura armena in modo stilizzato, mescolando citazioni pop che derivano dai cartoon e dal cinema in opere di forte impatto decorativo e spiazzanti. Per l’artista citazioni di elementi floreali, animali, di porcellane frantumate o personaggi dei cartoon , includendo esseri mostruosi e ibridi, diventano pattern decorativi impaginati dentro a uno sfondo fitomorfo, elegantemente kitsch, dove prospettiva e profondità trasformano l’horror vacui in una elaborazione contemporanea dell’antica miniatura armena e dei bassorilievi che ornano i luoghi di culto dei palazzi.
Paola Angelini (San Benedetto del Tronto, 1983), è diversamente surreale, transavanguardista, intima e monumentale insieme, dalla pittura acida e dal tratto quasi scultoreo, abile nel contaminare suggestioni della pittura espressionista e surrealista in soluzioni formali stranianti con grandi figure contorte in bilico tra sogno e ricordo, incubo e realtà. Sono opere inquietanti, in cui il colore acceso inghiotte lo spettatore dentro un vortice di figure visionarie.
Dal piano terra al terzo piano della galleria, la pittura sfigura, penetra indaga l’inconscio, sonda stadi di separazione e isolamento; queste e altre variabili emotive dell’uomo, annichilito dalla solitudine nell’epoca pandemica, vive nel disagio e presagio di una condizione di resilienza, cercando nell’arte l’intimo delle cose.