Nel progetto #ZACentrale di Fondazione Merz (2021-2023) «si uniscono grande impegno organizzativo e profonda radicalità culturale: accanto a un fitto programma di mostre, concerti, spettacoli teatrali e di danza, sono previsti la realizzazione di attività formative ai più diversi livelli, incontri pubblici in partenariato con le altre realtà dei Cantieri Culturali, interventi documentari, la nascita di un incubatore creativo e l’apertura di una biblioteca specialistica dedicata all’arte contemporanea».
È in questa ottica che si pone la mostra “ordo naturalis, ordo artificialis” (visitabile allo Zac di Palermo fino all’11 settembre 2022), secondo appuntamento di una riflessione iniziata con la mostra “L’altro, lo stesso” (sempre a cura di Merz e Polizzi). Se questa aveva una concentrazione massima verso l’aspetto della naturalità, “ordo naturalis, ordo artificialis” moltiplica i linguaggi con una omogeneità di fondo: offrire una chiave di lettura sul presente in modo eterogeneo, con opere che sappiano parlare ad un pubblico ampio e differenziato.
«Il titolo della mostra, ordo naturalis, ordo artificialis, rievoca la contrapposizione tra cultura e spontaneità proposta da Roland Barthes e definisce un progetto espositivo caratterizzato da una forte sperimentazione, dove l’opera d’arte è intesa come oggetto di trasformazione e inversione delle regole. I lavori che compongono il percorso espositivo restituiscono riflessioni sul presente, sulla società e sul paesaggio, lavorando sull’idea di opera d’arte e innescando dialoghi tra diverse forme espressive», come leggiamo nel comunicato stampa.
Vi sono opere che sono rimaste in permanenza ed altre che compongono questo nuovo dire temporaneo. La permanenza è promossa dalle opere di Mario e Marisa Merz e l’opera di Alfredo Jaar. Jaar ci accoglie all’entrata dell’edificio, sul prospetto principale, con l’opera “Two or three things I know about monsters” che scrive in neon rosso “Il vecchio mondo sta morendo, quello nuovo tarda a comparire, e in questo chiaroscuro nascono i mostri”, che fa da eco ad ogni opera presente in questa occasione espositiva.
Entrando, i due tavoli di Mario Merz fanno da “connettivi logici” intesi quale definizione: “congiunzioni, locuzioni o avverbi della lingua italiana con cui è possibile comporre tra loro due o più proposizioni matematiche, dando origine a una nuova proposizione”. Non a caso i tavoli percorrono verticalmente lo spazio, creando un’armonia interna tra le sezioni che vengono a comporsi internamente all’edificio. Sono di due tipi: un primo tipo a spirale che sembra essere una tridimensionalità del gesto dei disegni di Merz, quando non stacca la matita dal foglio; un secondo (“Pietra serena depositata e schiacciata dal proprio peso”) che viene accompagnato da mele, frutto scelto rispetto a differenti opzioni – quali potrebbero essere i frutti tropicali – per il suo genius loci, tipico nelle scelte dell’artista (pensiamo a quando espone giornali quali “Il resto del Carlino” rispetto ad un più generico “Corriere della sera”). A parete, sette opere di Marisa Merz, il cui materiale più ricorrente è l’argilla.
Ad accompagnare le opere temporanee, presenti cioè anche nella prima mostra “L’altro, lo stesso”, vi sono i linguaggi multiformi e differenti de* artist* Andreco, Fabio Aranzulla & Luca Cinquemani (con il progetto aterraterra), Michele Guido, Joana Hadjithomas & Khalil Joreige, Icy and Sot, Giorgia Lupi and Ehren Shorday e Basim Magdy. Completa la narrazione la video-installazione “Il Terzo Reich” di Romeo Castellucci (che è stata visibile venerdì 8 aprile, durante la serata inaugurale, e i giorni 20 aprile, 25 maggio e 22 giugno).
Elementi naturali dialoganti con frattali su pavimento entrano in contatto con schermi luminosi, conversazioni whatsapp estrapolate e proiettate accompagnano tessuti in bandiere svolazzanti fuori l’edificio e dentro gli schermi di videoinstallazioni. Forse l’esposizione è eccessivamente colma, carica, esplodente ed implosiva al contempo. Forse si genera una certa confusione nella fruizione di opere così complesse da aver bisogno di un proprio spazio e un proprio tempo di pensamento.
Particolarmente interessante è l’opera di Fabio Aranzulla e Luca Cinquemani. Così la descrive il Collettivo Epidemia: «Come Aterraterra, Luca e Fabio, hanno finalmente dato vita a un’opera, da loro realizzata, presentata allo spazio espositivo ZAC – Zisa Zona Arti Contemporanee di Palermo. Si chiama “Someone told us a story about nature and purity” e sfida l’idea del dominio genetico degli umani sulle piante, in questo caso il grano. Quindi l’installazione artistica è uno sforzo per far sì che tutti questi semi diversi (che provengono dai luoghi più disparati della Sicilia) si mescolino e si emancipino dall’utilità. L’opera è composta dall’installazione artistica e dal graphic design manifesto, di Carla Selva Matthes e Paul Zech». Significativo il contributo del collettivo, nella figura di Enrico Milazzo, all’opera di aterraterra.
La mostra, curata da Beatrice Merz e Agata Polizzi, «Si rivela come un possibile moltiplicatore, un osservatorio allargato che rievoca l’urgenza di condividere idee e dubbi coinvolgendo più discipline, grammatiche e punti di vista», come tengono a sottolineare le curatrici.
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