La mostra “EVE” di Paolo Bufalini da MASSIMO, con scritto di Paolo Gabriotti, chiude la prima stagione espositiva del nuovo spazio milanese. Paolo è un giovane artista che ha già alle spalle diverse esperienze come co-curatore dello spazio Tripla a Bologna, come scrittore e performer e come artista.
Già avvicinandosi all’entrata di MASSIMO si percepisce una strana atmosfera, il colore arancione della luce attrae e ingloba lo spettatore in una dimensione altra, completamente diversa rispetto al grigiore dell’atmosfera invernale meneghina. La dimensione di un’alba o di un tramonto infuocato si rincorrono e mi sovviene il film horror dal Tramonto all’Alba di Robert Rodriguez, e di un film in quanto set, situazione e atmosfera, la mostra di Paolo risente completamente.
Lo spettatore viene coinvolto in un’esperienza totalizzante, che lo scardina dal normale corso delle cose, tutto è come magicamente disposto in maniera da scardinare certezze e da creare una sottile inquietudine. Dopo la luce, mettiamo a fuoco gli oggetti: calpestiamo una fitta coltre formata da migliaia di listelle di carta, passate dal distruggidocumenti. Vi è un richiamo all’inutilità e alla proliferazione della burocrazia, ad una microfisica del potere vano e distruttivo. Ma forse quei fogli a brandelli richiamano la fine di un’epoca, quella della carta oppure una babele di segni in una semiotica oramai irriconoscibile e sovradimensionata.
Poi, incastonata nel muro, vi è una fantomatica sella da cavallo, sormontata da una ancor più straniante palla di cristallo. Elementi anche questi che si rifanno ad un immaginario filmico vasto e magico nello stesso tempo, che vagola dagli eroismi del West alle animazioni disneyane. Alla fine del percorso due contenitori, che più che “comodini” mi fan venire in mente mobili da ufficio, sono ripieni di altra carta che nasconde delle misteriose presenze, dei teschietti, che sembrano guardare paradossalmente lo spettatore. Teschi, rettili, coccodrilli sono delle costanti del lavoro di Paolo e simboleggiano un naturale spaventoso, la morte, qualcosa di repellente, che fa da contraltare organico alla dimensione inorganica e asettica che è l’altra componente dell’artista. Vi sono rotte di collisione di situazioni e simboli, rimescolamenti di materiali, soprattutto situazioni che rimandano ad una narrazione fantastica.
Un mondo artificiale e innaturale ci circonda costantemente, una dimensione che accompagna la nostra vita si insinua languida e terribile nella quotidianità , è l’alterità di un mondo ipertecnologico e straniante, un mondo fatto di ipercose, pregne di un animismo perturbante. Paolo è in buona compagnia con artisti che trattano videogiochi, arte generativa, vita artificiale, che descrivono la nostra vita immersa nel sintetico, lui lo fa, da par suo, con installazioni, che sembrano fermi immagine taglienti e impietose, immerse in atmosfere rarefatte e sospese.
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