Off Gallery è un nuovo spazio a Bologna, che, aperto prima della pandemia, ha dovuto subito richiudere e sta tornando ad operare proprio ora. Si caratterizza come spazio ibrido dove il display gioca con le interrelazioni tra design ed arte contemporanea. Il direttore e designer Giovanni Cattani ha voluto fare una scommessa basata sul dialogo tra discipline limitrofe i cui confini sfumano a seconda del gradiente di utilità o di “estetica disinteressata” appartenente agli oggetti in mostra. Il duo milanese Ornaghi & Prestinari è risultato particolarmente adatto alla curatrice Manuela Valentini per intessere un dialogo con lo spazio e i suoi rivestimenti intitolando la mostra “Talking Objects”. La poetica di Ornaghi e Prestinari si è incuneata felicemente ed adattata alle diverse ambientazioni con cui lo spazio è caratterizzato. La prima scultura degli artisti che si incontra è Morris del 2017 in cui l’intaglio floreale del legno dipinto di grigio a simulare un materiale ottuso e uniforme richiama il movimento Art & Crafts a cavallo tra Ottocento e Novecento che ha caratterizzato appunto la ripresa dell’idea del manuale, dell’artigianale, del recupero tecnico e formale degli oggetti del passato con la quale ci si intendeva opporre alla galoppante industrializzazione e alla progressiva standardizzazione delle forme grazie a cui si abbassavano i prezzi dei prodotti, passando un colpo di spugna sulla lunga tradizione dell’arte e dell’artigianato britannico. Il movimento come si sa bene ha poi acquisito nomi diversi per indicare gli stessi contenuti di resistenza e recupero della storia e della memoria tramandata da artigiano ad artigiano nel corso del tempo: noi a Bologna a cavallo tra due secoli abbiamo avuto il medesimo movimento con la famosa mostra “Aemilia Ars”.
Ecco quindi che l’introduzione alla mostra si pone sotto il segno ben preciso di valori che si rapportano ad una sociologia degli usi e dei costumi cuciti addosso all’individuo e a tutte quei cortocircuiti di conoscenze, emozioni e narrazioni che lo caratterizzano. Il giano bifronte dell’oggetto, CUI – è bene ricordare – vengono tolti quei gradienti di sensuosa tattilità delle opere ottocentesche, si interfaccia comunque con valenze complesse che richiamano nelle strutture di sostegno di tubolari metallici l’asciuttezza e l’essenzialità di impalcature, sostegni, coadiutori del concetto di costruzione che rimanda da una parte agli arredi di interni e dall’altra all’architettura contemporanea.
Il richiamo all’individuo e al corpo gioca la carta dell’ironia nel più recente Passanti (2022) dove il filo che termina nel bulbo luminescente di una lampadina casalinga passa attraverso i passanti come se fosse la cintura di un vestito. Qui il riferimento è ancora al corpo con la quale l’oggetto di un design anomalo e acuto si misura, circoscrivendo l’abitare in un rapporto stretto, intimo e caloroso tra corpo e rivestimento spaziale.
L’ultima stanza è caratterizzata da tre opere che si riferiscono tutte all’emisfero della convivialità : le fotografie di una caffettiera intitolata Resolver. Moka (2016) donata agli artisti da un amico cubano (come ci riferisce la curatrice), con un titolo che rimanda a un verbo legato alla lotta quotidiana attraverso cui risolvere primarie necessità . Le spugnette di Onde (2017) in ceramica e Barattoli (2016) che nella serialità della presentazione, rimandano ironicamente all’industria, ad altro dal sé quotidiano, acquisendo una valenza perturbante, concludono la mostra.
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