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Other identity #13. Altre forme di identità culturali e pubbliche: intervista a Debora Garritani
Arte contemporanea
Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana abbiamo raggiunto Debora Garritani.
Other Identity: Debora Garritani
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«L’arte libera l’energia interiore e latente dell’artista, la quale prendendo forma nel mondo reale, giunge allo spettatore, sconvolgendolo, emozionandolo, annientandolo, inebriandolo, inducendolo ad una riflessione, a seconda dei casi, e producendo un distacco dal mondo reale e una proiezione verso una dimensione altra e trascendente che travalica i sensi e dove non esistono spazio e tempo. Dal punto di vista dell’artista l’arte è una forza che lo possiede e che guida ogni suo pensiero in tutti i contesti dell’esistenza e la sua sfida più grande è la sopravvivenza dell’opera nel tempo. Questa è la mia rappresentazione di arte».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«Sono un’artista che usa come medium la fotografia, la quale mi permette non tanto di riprodurre un’immagine di ciò che costituisce la realtà, ma di mettere in scena la mia realtà interiore e di dare forma alle immagini che scorrono nella mia mente. In quello che rappresento c’è la proiezione del mio io che esprimo con l’arte. L’opera che faccio mi contiene in qualche modo, in quanto spesso nelle mie serie fotografiche lavoro con l’autoscatto e dunque uso il mio corpo per parlare di temi esistenziali ed universali che sono propri di ogni uomo di ogni epoca. Il mio corpo tuttavia è solo un mezzo per mettere in scena qualcosa, un personaggio che potrebbe anche essere interpretato da altri. In ogni caso l’autoritratto è stato uno strumento che mi ha portato a conoscere a fondo me stessa, che ha scavato lentamente dentro di me, non solo attraverso lo sguardo dell’obiettivo ma anche attraverso lo sguardo del pubblico che mi ha sempre rivelato qualcosa di me che non vedevo».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Nel momento storico in cui viviamo l’apparenza sociale e pubblica conta molto, anzi ha una valenza maggiore dell’essere. Si esiste nella misura in cui si appare, in cui si è presenze attive sui social, nella misura in cui la nostra vita privata diventa pubblica.
In realtà pur essendo consapevole di quanto conti oggi l’apparire, per me continua a contare maggiormente l’essere, in quanto è l’identità della persona, la sua intima natura, la vera essenza. Attraverso l’essere esprimiamo la nostra unicità.
Tuttavia l’apparire pubblicamente è connaturato al fare arte, perché appariamo nel momento in cui in cui l’opera d’arte esce dalla dimensione privata dello studio per entrare in una dimensione pubblica, momento importante, che permette di rivelare la nostra opera agli altri e permette all’opera stessa di comunicare. L’opera che rimane nello studio dell’artista ha voce ma è destinata a rimanere muta».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«Oltre che al passato e al contemporaneo il mio sguardo è rivolto verso il futuro. Nel mio fare arte parto dall’iconografia della pittura, in particolare quella rinascimentale, quella fiamminga e quella simbolista, e la decontestualizzo, la rielaboro, la riutilizzo dandogli nuovi significati ed una nuova vita. Il legame con la pittura nella mia opera è molto forte sia per il mio modus operandi che è più simile a quello di un pittore, essendo la mia una fotografia staged e cioè costruita, composta minuziosamente, sia perché la pittura resta il mio principale riferimento. Ad esempio nella mia serie “Nihil sub sole novum” del 2019, ho ripreso la simbologia della vanitas e il ritratto rinascimentale per affrontare in chiave ironica il tema della morte al fine di esorcizzane la paura».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Il mio agire nell’arte è un agire vero, istintivo, sincero, in quanto frutto di una scelta importante che mi ha portato ad un certo punto della mia vita a cambiare piani e progetti per seguire qualcosa che non conoscevo bene ma che sentivo essere la mia strada.
In realtà non ho mai pensato di fare l’artista. Il percorso che mi ha condotta all’arte è stato poco lineare e abbastanza imprevisto. Ho studiato Giurisprudenza a Parma e avrei voluto diventare magistrato. Ad un certo punto però ho iniziato giorno dopo giorno ad interessarmi e nutrirmi di arte, fino a che non ho deciso di trasferirmi a Milano dove ho studiato prima pittura e poi fotografia all’Accademia di Brera. Da li la mia vita è cambiata. Oggi mi definisco un’artista, ma per quanto riguarda gli occhi del mondo bisognerebbe chiedere a lui, al mondo».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Avrei voluto essere tante identità, da Coco Chanel per il suo stile, il fascino, l’eleganza e l’essere una donna rivoluzionaria e carismatica, a Jodorowsky per la sua genialità a 360 gradi, il suo essere un artista visionario, surreale e onirico, perché tutte le volte che guardo un suo film penso come abbia fatto a generare tali idee, a Millet perché avrei voluto dipingere l’Ofelia, opera di una tale bellezza ed intensità straordinaria, al Barone Adolf de Meyer per la sua impareggiabile grazia nel far brillare di luce le sue figure femminili, attraverso la fotografia. Tutti personaggi per i quali nutro grande ammirazione e che mi hanno ispirato nella mia vita privata ed artistica».
Biografia
Nata a Crotone nel 1983, Debora Garritani vive e lavora a Milano. Conseguito il diploma di maturità scientifica, intraprende studi giuridici all’ Università di Parma, che poi abbandona per studiare presso l’Accademia di Belle Arti di Brera di Milano, dove consegue la laurea triennale in pittura e in seguito la laurea magistrale in fotografia. Nel 2014 è tra i finalisti del Premio Cairo.
Tra le mostre personali si segnalano: (2021) Kaukokaipuu, Circoloquadro, Milano a cura di Federica Mirabella, (2018) Nihil sub sole novum, Palazzo Coluccia, Specchia (Le) a cura di Arianna Beretta e Donato Viglione, (2018) Over The edge (bipersonale) a cura di Federica Picco, Gare82, Brescia, (2017) Ver Sacrum, Studio d’Arte Cannaviello, Milano, (2014) Il giorno dopo, Twenty14 Contemporary, Milano, (2014) Dove finisce l’arcobaleno, Studio d’Arte Cannaviello, Milano.
Tra le mostre collettive: (2021) Assonanze, discordanze, forme e libertà di movimento al tempo del Nuovo Rinascimento, Fabbrica del Vapore, Milano, a cura di Claudia Migliore (2021) Osservatorio X, Superstudio, Milano(2021) Crazy Holidays, Galleria Vik, Milano a cura di Alessandro Riva (2021) Assonanze, discordanze, forme e libertà di movimento al tempo del Nuovo Rinascimento, Castello Colleoni, Solza (Bg), a cura di Claudia Migliore, (2019) Monocedonia, BoCs Art Residenze artistiche, a cura di Giacinto Di Pietrantonio, Cosenza (2019) Tutto apposto-tutto bene, a cura di Camilla Brivio e Giacinto di Pietrantonio, Galleria Nazionale, Cosenza (2019) Da Man Ray a Vanessa Beecroft, Museo Santa Giulia, Brescia, a cura di Mario Trevisan e Donata Pizzi, (2019) Centrale Fotografia, a cura di Luca Panaro, Rocca Malatestiana, Fano, (2018) Other identity, Palazzo Grillo, Genova, a cura di Francesco Arena, (2018) Multipli, Studio d’Arte Cannaviello, Milano, (2018) BIAS (Biennale d’arte sacra) Museo Riso, Palermo, (2018) Liquid souls, Acquario Civico, Milano, a cura di Giovanni Pelloso ed Elisabetta Polezzo, (2016) Forme d’uomo, Apart Spaziocritico, Vicenza, a cura di |curated by Sharon Di Carlo (2014) 15̊ Premio Cairo, Palazzo della Permanente, Milano (Cat.) (2015) Young artists in Milan, Esentai Gallery, Kazakistan (Cat.) (2013) Iside Contemporanea, ARCOS Museo d’ Arte contemporanea di Benevento, a cura di Ferdinando Creta, (2012) Il corpo solitario: L’autoscatto nella fotografia contemporanea, a cura di G. Bonomi, Palazzo del Duca Senigallia (Ancona) (2012) Spirito Italiano atto I, Fabbrica Borroni, Bollate, a cura di Annalisa Bergo (2012) Salon Primo, Accedemia di Belle Arti di Brera, ex chiesa di San Carpoforo, Milano.