Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana l’ospite intervistato è Francesca Leoni.
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«Il corpo come luogo di storia e emozioni, il corpo come simbolo e come mezzo di interazione tra tecnologia, ambiente e società. La mia rappresentazione dell’arte è, per ora, puramente fisica. Nelle mie opere c’è sempre la presenza di un corpo associato a simboli, ma anche ad azioni performative. Questo deriva anche dal mio percorso teatrale e dall’essere performer, mettendomi spesso in primis davanti alla telecamera.
Il corpo, secondo me, è un linguaggio che ogni persona può leggere e sul quale ognuno può dare una interpretazione a seconda del proprio vissuto. Credo che ogni parte del nostro corpo racconti una storia così come i luoghi, e che l’incontro/scontro tra queste due cose possa essere artisticamente e drammaturgicamente interessante.
Voglio incentrare la mia ricerca anche su quelli che sono gli effetti dell’ambiente circostante, della storia, di quello che viviamo, delle nuove tecnologie sul nostro corpo (reale e virtuale) e come tutto questo lo cambia e lo trasforma. Il mio lavoro artistico, inoltre, si svolge su due binari. Uno nel quale io lavoro da sola e quindi sviluppo opere che sono fortemente improntate sulla mia sensibilità e sulla mia persona. Sono opere che riflettono spesso sulla condizione femminile, ma anche sul mio vissuto. Sono cresciuta in diversi ambienti e paesi diversi, ognuno di loro mi ha plasmata, mia ha data un’identità diversa.
Il secondo binario, invece, corrisponde al lavoro sviluppato in coppia con Davide Mastrangelo, nel quale analizziamo le dinamiche delle relazioni, non solo le relazioni uomo/donna, ma anche le relazioni tra due diverse entità che vengono a contatto, che si incontrano e si scontrano creando qualcosa di nuovo, dell’essere umano con l’ambiente circostante. In questo caso si crea una identità che si ridefinisce nel confrontarsi con l’altro».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«Generalmente quando voglio descrivere ciò che faccio dico sempre di essere una video performer, ma le definizioni sono sempre delle etichette un po’ limitanti, perché mi sento anche una filmmaker, e una sperimentatrice digitale. Ma sono anche una direttrice artistica, perché da 7 anni porto avanti un festival dedicato alle arti intermediali “Ibrida festival”, che si tiene a Forlì nel mese di settembre. Diciamo che in realtà mi porto addosso diverse identità».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Questa domanda può avere diverse interpretazioni. Credo che ognuno di noi ha diverse apparenze sociali e pubbliche a secondo del gruppo e del ruolo che si assume all’interno di quel gruppo. Nella mia apparenza sociale, come artista, vorrei che venisse fuori soprattutto il mio lavoro, e che questo, in qualche modo parlasse per me. Ma non sarei sincera si dicessi che l’apparenza sociale non importa, siamo animali da branco noi essere umani, artisti e non».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione. Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«Mi ispiro molto ad altri artisti, alle foto che vedo, spettacoli, quadri, istallazioni e soprattutto al cinema. Tutto quello che mi entra dentro in qualche modo esce, nelle mie rielaborazioni artistiche. E spero che quello che faccio possa essere così per gli altri. Spesso io e Davide (Mastrangelo) veniamo chiamati per fare degli incontri all’università e quello che dico agli studenti è sempre la stessa cosa, vedete il più possibile mostre, teatro, film quello che vi capita. In uno dei nostri primi video, io e Davide abbiamo reinterpretato la “pietà” di Michelangelo, poi quel video è diventata una performance e in seguito un’istallazione, e nonostante ci fossimo molto staccati dalla figura originale il pubblico era in grado di riconoscerla. Questo secondo me è il nuovo valore di rappresentazione».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Un mio amico dice sempre che sono gli altri che ci definiscono artisti e non noi. E io sono molto d’accordo con questa frase. Mi piace di più definirmi come una sperimentatrice o una narratrice di storie».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Dico sempre che, se dovessi rinascere mi piacerebbe essere una musicista. Da piccola suonavo il pianoforte ma nonostante mi piacesse non era proprio il mio strumento. Ringrazio quelle lezioni perché mi rendo conto quanto il montaggio video sia musica. Spesso riguardando i lavori che monto batto le mani come facevo con il solfeggio. A questo punto la domanda è? Quale tipo di musicista vorresti essere se potessi rinascere? Probabilmente una chitarrista. A parte la fantasia, credo che nel prossimo futuro vorrei spostarmi di più verso il cinema sperimentale».
Francesca Leoni, video artista e video giornalista. Laureata in “Communication Studies” alla Univesity of North Carolina a Wilmington (USA). Durante gli anni dell’università ha iniziato a studiare teatro lavorando soprattutto sul corpo e le emozioni attraverso “il metodo”. Ritornata in Italia intraprende un percorso tra video e cinema, studiando con vari maestri nazionali ed internazionali. La sua ricerca verte sul corpo come cassa risonante d’emozioni mettendo in luce il rapporto tra l’essere umano e la vita contemporanea attraverso la performance, la video arte e il cinema sperimentale. Nel giugno del 2011 crea con Davide Mastrangelo il duo artistico, con il quale produce opere di video arte e performance distribuite internazionalmente attraverso festival e piattaforme mirate. Assieme hanno fondato nel 2015 “Ibrida festival delle Arti Intermediali”.
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