Tratta dall’omonima rassegna ideata dall’artista e curatore indipendente Francesco Arena, la rubrica “OTHER IDENTITY – Altre forme di identità culturali e pubbliche” vuole essere una cartina al tornasole capace di misurare lo stato di una nuova e più attuale grammatica visiva, presentando il lavoro di autori e artisti che operano con i linguaggi della fotografia, del video e della performance, per indagare i temi dell’identità e dell’autorappresentazione. Questa settimana l’ospite intervistato è Lamberto Teotino.
Il nostro privato è pubblico e la rappresentazione di noi stessi si modifica e si spettacolarizza continuamente in ogni nostro agire. Qual è la tua rappresentazione di arte?
«Ognuno di noi ha una vita privata, una pubblica e una segreta. La rappresentazione di qualcosa, di qualsiasi cosa, non è purezza, la rappresentazione di San Sebastiano non è San Sebastiano. Vivo per l’arte al punto che sono diventato un blocco unico, qualsiasi forma di interesse che sfioro viene assimilato per far parte di questo blocco, fatto di complessità. La mia arte di sicuro so per certo essere figurativa perché non sono ancora in grado di capire l’astratto.
Vengo attratto dall’individuo e dal suo rapportarsi con lo spazio, dalla stratificazione delle cose e del mondo, mi piace attingere dagli archivi. Mi interessano gli spostamenti percettivi e il modo in cui condizionano il fruitore. Preferisco di più ciò che scompare, la parte che non c’è, come nella magia, studio la fisica quantistica e la ciclicità dello spazio tempo».
Creiamo delle vere e proprie identità di genere che ognuno di noi sceglie in corrispondenza delle caratteristiche che vuole evidenziare, così forniamo tracce. Qual è la tua “identità” nell’arte contemporanea?
«L’identità è un tema che ha accompagnato gran parte della mia produzione, ho sempre avuto una proiezione verso un mondo “che verrà”, mi sono sempre chiesto di che materiale un domani saremo fatti, ma man mano che sto invecchiando invece cerco di proteggere ciò che è stato di noi. Negli ultimi anni mi sto prendo cura e sto collezionando oggetti che hanno segnato epoche nel design e nel costume, sono molto affascinato dal modernariato».
Quanto conta per te l’importanza dell’apparenza sociale e pubblica?
«Conosco bravi artisti che non ce l’hanno fatta perché non avevano una struttura caratteriale idonea per integrarsi o quantomeno mischiarsi nel “sistema”, credo che bisogna essere bravi e muoversi con destrezza ma credo di più ad una cosa e cioè all’opera d’arte, naturalmente è ciò che conta, si può essere anche dei bravi intrattenitori ma poi se un’opera non funziona allora non funziona e basta».
Il richiamo, il plagio, la riedizione, il ready made dell’iconografia di un’identità legata al passato, al presente e al contemporaneo sono messi costantemente in discussione in una ricerca affannosa di una nuova identificazione del sé, di un nuovo valore di rappresentazione.
Qual è il tuo valore di rappresentazione oggi?
«Sono molto lucido e a fuoco, ho un’attitudine ben precisa e cerco di stare distante dalle mode, un artista ha lo scopo di anticipare i tempi perché ha il vantaggio di poter avere una visione laterale e precursoria rispetto le persone che hanno una veduta comune e quindi questo lo mette su un piano di maggiore responsabilità per ciò che rappresenta e per il contributo culturale che offre. Molti artisti invece seguono le mode e si raccontano attraverso fatti di attualità, per questo ci sono i canali informativi, a me interessa pensare all’opera senza tempo di cui se ne possa parlare anche tra 400 o 500 anni».
ll nostro “agire” pubblico, anche con un’opera d’arte, travolge il nostro quotidiano, la nostra vita intima, i nostri sentimenti o, meglio, la riproduzione di tutto ciò che siamo e proviamo ad apparire nei confronti del mondo. Tu ti definisci un’artista agli occhi del mondo?
«Sì».
Quale “identità culturale e pubblica” avresti voluto essere oltre a quella che ti appartiene?
«Avrei voluto nascere in più epoche per viverle in maniera diretta, vengo attratto dal medioevo, dall’‘800 ma anche da epoche più recenti come gli anni ‘50 del 900. Mi chiedo perché vengo attratto da queste epoche? La loro storia forse? Il design? L’architettura? Il bene? Il brutto?…Ma solo se le avessi vissute direttamente le capirei da poterle rappresentare, ed ecco allora affiorare i miei dubbi quando vedo una persona che si veste e conduce uno stile di vita come un hyppie convinto, per esempio, ed è a questo punto che capisco che ci lasciamo sfuggire il contemporaneo e che viviamo nella nostalgia di qualcosa che non ci appartiene».
Lamberto Teotino (Italia, 1974) vive a Roma.
Si occupa di arti visive, la sua indagine si sviluppa principalmente sull’analisi e natura dell’immagine esaminandone i meccanismi percettivi. L’utilizzo della fotografia, gli interventi tecnico concettuali su immagini d’archivio, gli approcci filosofici dell’immagine in forma di comunicazione visivoinstallativa sono le caratteristiche principali dell’opera, all’artista ciò che interessa è la disseminazione del senso, del paradosso, le condizioni di alterazione percettiva e di un nuovo disegno concettuale, come una sorta di spostamento metafisico, una deviazione.
Nel 2021 partecipa alla mostra “The Families of Man” al museo Archeologico di Aosta. Nel 2018 presenta il video Surrendering con le musiche di Ennio Morricone alla Galleria Nazionale di Roma. Nel 2016 vince il Premio Combat con l’opera Mary Shelley, premio cui l’anno precedente si classifica al secondo posto ricevendo la menzione speciale con l’opera intitolata Ti ricordi Prohaska e di quando lo chiamavano Schneckerl? Entra a far parte della collezione Luciano Benetton dopo essere stato invitato al progetto Imago Mundi nella sezione Italia curata da Luca Beatrice, dal quale fa seguito la pubblicazione del volume “Praestigium Italia II – contemporary artists from Italy”, edito da Fabrica.
Nel 2014 vince la prima edizione del premio Smartup, organizzato dall’azienda Optima S.p.A. Nel 2013 partecipa alla collettiva intitolata “Save as”, al Centro d’Arte Contemporanea Kim?, in Riga (LV), organizzatore del padiglione Lettone della Biennale di Venezia, inoltre espone come finalista al Blumm Prize, evento presentato all’ambasciata Italiana di Bruxelles; nello stesso anno viene inserito nel volume The New Collectible Art Photography, di Susan Zadeh, edito da Thames & Hudson, tra gli artisti che nell’ultimo decennio hanno indagato in maniera più innovativa l’immagine fotografica. Nel 2012 la rivista Eyemazing, vincitrice del prestigioso premio “Lucie Awards”, pubblica per intero il progetto sistema di riferimento monodimensionale con il quale nel 2011 riceve la menzione speciale della giuria del Talent Prize, sempre nel 2012 un’altra menzione speciale dalla Fondazione Francesco Fabbri con l’opera L’ultimo Dio.
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