28 marzo 2025

Otto mostre in galleria da non perdere durante Art Basel Hong Kong

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Non solo i booth della super fiera. Ecco una selezione di gallerie sparse per la città da visitare nel weekend di ABHK 2025, da MASSIMODECARLO ad Hauser&Wirth

gallerie hong kong
Photo by: Visual Voices. Courtesy: MASSIMODECARLO

Con Art Basel Hong Kong, in programma dal 28 al 30 marzo (preview 26 e 27 marzo), la città si trasforma ancora una volta in un punto di riferimento per l’arte contemporanea, attirando collezionisti, curatori, addetti ai lavori e appassionati da tutto il mondo. L’edizione 2025, in particolare, arriva in un momento cruciale, con molti studiosi del mercato che si chiedono se Hong Kong riuscirà a mantenere il suo ruolo di capitale dell’arte asiatica, dopo anni segnati da incertezze e cambiamenti (e già l’anno scorso, ABHK rispondeva con un’edizione colossale). Ma c’è di più: oltre agli stand e alle sezioni curate in fiera, negli stessi giorni la città si anima con mostre imperdibili che inaugurano nelle gallerie più prestigiose. Ve ne segnaliamo otto che meritano assolutamente una visita.

Sopheap Pich, Cambodian Metal da Axel Vervoordt

Cambodian Metal è la prima personale di Sopheap Pich a Hong Kong presso la Axel Vervoordt Gallery. L’artista, originario della Cambogia, presenta 12 nuove opere, che esplorano la storia e le attuali condizioni sociali della sua patria, rendendo omaggio alla natura attraverso rilievi murali e sculture in vetro. I rilievi evocano l’architettura quotidiana cambogiana, con tetti ondulati realizzati in alluminio riciclato e vasi di riso trovati, mentre una spettacolare scultura sospesa – un’eterea rappresentazione di polmoni – prende forma grazie alla combinazione di vetro, bambù e rame, esaltando le infinite possibilità dei materiali. Sopheap Pich è uno degli artisti contemporanei più influenti del Sud-Est asiatico. Le sue opere, realizzate con materiali come bambù, rattan e alluminio, trascendono il tempo e lo spazio, trasformando elementi semplici in potenti narrazioni visive. Senza bisogno di parole, i suoi materiali parlano di storie sociali, traumi collettivi e ricordi personali legati all’epoca dei Khmer Rossi, intrecciando passato, presente e futuro in ogni opera. Pich non impone un messaggio, ma lascia che siano le sue forme a comunicare. La sua fiducia nei materiali si traduce in sculture che respirano memoria e trasformazione, dando una seconda vita a elementi comuni e rendendo l’arte un’esperienza profondamente democratica e accessibile. Dal 22 marzo al 24 maggio.

Dominique Fung da MASSIMODECARLO

MASSIMODECARLO presenta Beneath the Golden Canopy, la prima mostra personale di Dominique Fung, visitabile dal 24 marzo al 16 maggio. Fung, artista canadese, è nota per i suoi dipinti evocativi e simbolici, in cui intreccia riferimenti alla pittura tradizionale cinese e all’arte occidentale. Le sue opere esplorano il rapporto tra memoria, identità diasporica e il modo in cui la storia viene raccontata e reinterpretata. Al centro della mostra c’è la figura dell’Imperatrice Vedova Cixi, che governò la Cina dal 1861 al 1908 e la cui eredità rimane complessa e controversa. Fung non cerca di riabilitare la sua immagine, ma la usa come chiave di lettura per interrogarsi su potere, femminilità e le distorsioni della narrazione storica. Tra le opere più significative c’è il trittico The She Dragon, The Fragile Phoenix, and The Limping Dragon, che rappresenta le complesse dinamiche di potere tra Cixi, l’Imperatrice Consorte Ci’an e l’Imperatore Xianfeng. Le due imperatrici emergono con colori intensi e vibranti, mentre l’imperatore, in monocromo, rimane ai margini, suggerendo un’autorità destinata a svanire. Attraverso scenari onirici, Fung utilizza tecniche ispirate ai maestri olandesi come Vermeer e Rembrandt, con un gioco di luci e ombre che guidano lo sguardo dello spettatore. I colori, inizialmente ispirati alle ceramiche funerarie della dinastia Tang, si sono evoluti per richiamare materiali erosi dal tempo, come ambre, grigi rugginosi e verdi profondi. Beneath the Golden Canopy riflette su come il potere si trasformi e la storia non sia mai davvero immobile. L’artista si confronta con le interpretazioni della storia, le sue omissioni, i suoi miti. Fung ci invita a guardare oltre: non per trovare risposte definitive, ma per esplorare, interrogare e osservare il tessuto mentre si gonfia e si muove, rivelando e celando allo stesso tempo.

Photo by: Visual Voices. Courtesy: MASSIMODECARLO

Louise Bourgeois da Hauser&Wirth

Dal 25 marzo al 21 giugno, la galleria Hauser & Wirth ospita Louise Bourgeois. Soft Landscape, una retrospettiva dedicata alla leggendaria artista. Tra figurazione e astrazione, dai disegni più intimi alle installazioni monumentali, Louise Bourgeois ha sempre esplorato le profondità dell’emozione umana attraverso un linguaggio visivo potente e simbolico. La mostra ripercorre il suo lavoro dagli anni Sessanta fino alla sua scomparsa nel 2010, presentando opere inedite che svelano nuovi aspetti della sua pratica artistica. Tra queste, spiccano quattro rilievi murali dipinti, realizzati ricavando materiale dall’interno di vecchie casse usate per trasportare le sue sculture, trasformando così oggetti funzionali in opere d’arte evocative. Per la prima volta sarà esposta Mamelles (1991, fusa nel 2005): l’opera, un lungo fregio di forme simili a seni da cui sgorga acqua in una vasca sottostante, incarna la dualità tra nutrimento e temporalità. Il flusso continuo dell’acqua diventa una potente metafora del tempo che scorre, ma anche dell’archetipo della madre generosa, che nutre e protegge.

Louise Bourgeois, Untitled, 1993, Painted wood and fabric, Photo: Sarah Muehlbauer
All images © The Easton Foundation/VAGA at ARS, NY

Emma Mclntyre da David Zwirner

Emma Mclntyre, classe 1990, è un’artista neozelandese che crea vivaci astrazioni intrise di energia cromatica e gestuale. Realizzate con oli e sostanze non convenzionali come il ferro ossidato, le sue opere possono sembrare istintive ma sono in realtà frutto di studio ed esplorano le possibilità alchemiche del mezzo pittorico e l’espansione delle concezioni tradizionali del paesaggio e del mondo naturale. La mostra presso la galleria David Zwirner, Among my swan, condivide il titolo con un album del 1996 della band Mazzy Star che ha ispirato McIntyre; inoltre, allude alle raffigurazioni di cigni e gru che spesso affiorano nelle sue opere. Con i loro colli eleganti e ricurvi, gli uccelli di McIntyre fungono da messaggeri storici e mitici e da strumenti di orientamento spaziale che indicano la presenza dell’aria aperta e delle infinite acque. Partendo dalla continua ricerca materiale e concettuale di McIntyre, i dipinti in Among my swan condividono un focus centrale sulla trasformazione delle immagini e dei mezzi. L’artista colloca i suoi dipinti in un contesto teatrale in cui lo spazio è reso come una scenografia, un paesaggio costruito da strati sovrapposti che fanno collassare vari luoghi e prospettive, sia reali che immaginari, sullo stesso piano dell’immagine. Visitabile dal 25 marzo al 10 maggio.

Emma McIntyre, White chalk south against time, 2024
© Emma McIntyre Courtesy the artist and David Zwirner

Lynne Drexler da White Cube

Siamo negli anni ’70, Lynne Drexler (1928-1999) ebbe un grave esaurimento nervoso che le provocò un daltonismo psicosomatico. Mentre si riprende, trova rifugio al Metropolitan Opera, dove si siede e disegna mentre ascolta gli spettacoli. Nonostante la sua temporanea disabilità visiva, l’artista tradusse questi schizzi in dipinti astratti su larga scala. Come risultato della sua alterata percezione del colore, lavorò con palette cromatiche più ristrette rispetto a quelle che definivano le sue vibranti opere policrome degli anni Sessanta. Queste opere, mai esposte prima, saranno esposte da White Cube nella prima personale in Asia dell’artista “The Seventies”, dal 26 marzo al 17 maggio. Negli anni ’70, Drexler si distingueva per un linguaggio astratto audace, caratterizzato da tratti dinamici che sembravano danzare sulla tela. “Foam” (1971) ne è un esempio emblematico: un intreccio ipnotico di motivi vorticosi nei toni del verde e del blu, illuminato da accenti di giallo e arancione, che crea un senso di movimento e profondità. La sua tecnica è profondamente influenzata dalla visione di Wassily Kandinsky, che paragonava l’astrazione alla composizione musicale, mentre l’intensità emotiva e il senso del gesto richiamavano i vortici espressivi di Vincent van Gogh. Il risultato? Opere vibranti, in cui colore e forma si fondono in un’armonia visiva capace di evocare emozioni profonde e coinvolgenti.

Emma Webster da Perrotin

Il vapore, un fenomeno naturale e spettrale di liquido sospeso nell’aria, è spesso il risultato fugace di un cambiamento: temperatura, atmosfera, tempo e ambiente. Inoltre, il vapore è appena percettibile all’occhio umano ed è spesso associato al respiro. È il momento in cui il nostro mondo interiore ed esteriore si scontrano. Le qualità eteree, transitorie e trasformative del vapore, sia in natura che in dimensione metaforica, risuonano nei grigi nebbiosi e nelle sottili pennellate smaltate dei dipinti di Emma Webster nella sua personale “Vapors” presso Perrotin. Per Webster, lo stato del clima è esistenziale. Lavorando durante i devastanti incendi che hanno colpito il suo studio in California lo scorso anno, le è tornato in mente l’incubo della pandemia globale: indossava le mascherine, scorreva i telegiornali, era a caccia di depuratori d’aria, apprendeva le perdite di amici e di persone che avevano perso la vita. Webster descrive la surreale banalità della vita quotidiana, bloccata e sospesa, nonostante il terribile e profondo disastro esterno. Questo senso di gravità perduta è evidente in ogni dipinto. Le undici tele, dipinte durante gli incendi, mostrano paesaggi eterei, vuoti, impregnati di una calma atmosferica e inquietante. Alcuni dipinti suggeriscono l’arrivo di un’insondabile calamità, come in Woodside (2025), mentre altri trasmettono la fredda arrendevolezza dei postumi di una catastrofe, evidente in Moon Wood, (2025). In queste opere, Webster inventa un genere pittorico completamente nuovo che sfuma i confini tra paesaggio plein-air, natura morta, e realtà virtuale. In mostra dal 25 marzo al 17 maggio.

Emma Webster: Vapors, Installation view
Emma Webster, The Means That Make, 2025, Courtesy of the artist and Perrotin

Robert Indiana da Pace Gallery

Dal 25 marzo al 9 maggio, Pace Gallery presenta Robert Indiana: The Shape of the World, una mostra dedicata a una delle figure più iconiche della Pop Art americana. Robert Indiana (1928-2018) ha trasformato l’iconografia del quotidiano in un’arte profondamente evocativa. Le sue opere esplorano temi come identità, memoria, cultura americana e potere dell’astrazione, ponendosi al confine tra Pop Art e Minimalismo. Indiana si definiva un “pittore americano di segni”, costruendo un vocabolario visivo fatto di riferimenti alla pubblicità, alla segnaletica stradale e all’architettura urbana. Il suo interesse per la numerologia e il linguaggio è al centro di questa mostra, che riunisce una selezione di dipinti, sculture e stampe create tra gli anni ’60 e i primi 2000. Tra le opere in esposizione figurano tre delle sue sculture in bronzo dipinto, ispirate agli antichi herm greco-romani, e alcuni dei suoi celebri lavori dedicati alla parola LOVE, diventata un’icona della cultura visiva contemporanea. Sarà inoltre esposta la serie ONE Through ZERO (The Ten Numbers), un’indagine sul significato simbolico dei numeri, legati tanto a eventi della vita personale dell’artista – come autostrade o indirizzi – quanto a riflessioni più ampie sul ciclo della vita. Diversi dipinti in mostra avranno inoltre risonanze uniche con Hong Kong: Ginkgo (2000), una composizione che raffigura il disegno di una foglia di ginkgo inspirata alle foglie degli alberi che l’artista vedeva nei dintorni di Coenties Slip.

Robert Indiana, LOVE (Red Outside Gold Inside), 1999, © The Robert Indiana Legacy Initiative, courtesy Pace Gallery

Sarah Sze da Gagosian

Gagosian presenta la prima mostra personale di Sarah Sze in Asia, la sua sesta collaborazione con la galleria. Dal 25 marzo al 3 maggio, la galleria ospiterà una selezione di nuovi dipinti a tecnica mista di grande formato e una serie inedita di sculture sospese: Fractured Image, in cui frammenti di stampe pigmentate si ricompongono in modo imperfetto, fluttuando in un fragile equilibrio tra disgregazione e coesione. Ogni immagine sembra catturare un istante incerto, lasciando lo spettatore nell’ambiguità tra forze che si attraggono o si respingono. Disposte come un arcipelago visivo all’interno della galleria, queste composizioni orizzontali di carta strappata si intersecano con la verticalità delle catene d’argento da cui pendono, creando un gioco di prospettive che si fonde con la vista sul porto di Hong Kong dalle finestre. Nei suoi lavori interdisciplinari, Sze attinge dal mondo fisico e digitale per creare complesse sculture, dipinti, disegni, stampe, video e installazioni, esplorando la precarietà della materia e la natura sfuggente del tempo. I suoi dipinti stratificano pennellate gestuali, nastro adesivo colorato e immagini stampate, confondendo il confine tra analogico e digitale, tattile e immateriale. In Rip Tide (2025), ad esempio, un uccello collagato si libra su un turbinio di rosa, arancione e oro, mentre uno stormo prende forma nella parte superiore del dipinto, evocando il flusso imprevedibile della memoria e della percezione.

SARAH SZE, Forever Now, 2025, Oil paint, acrylic paint, archival paper, acrylic polymers, ink, dibond, aluminum, and wood
© Sarah Sze Courtesy the artist and Gagosian

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