Se collezionare, fra spazio e tempo, significa anche raccogliere orizzonti ambientali e tratti fisiognomici del sentire umano, una collezione può fungere da bussola interiore e sociale dell’antropologia: il collezionista è, d’altro canto, colui che si esprime per immagini dal forte potere simbolico, immagini che diventano quasi un’estensione della sua persona. Accade così, per esempio, nella mostra “Collezione Attolico: uno sguardo italiano” che le opere provenienti dalla Collezione Attolico di Burri, Castellani, Manzoni, Alviani, Agnetti, De Dominicis, Kounellis, Schifano, Vezzoli, Campanini e Arienti traccino un percorso di modernità, innovazione e sperimentazione volto alla stimolazione di uno sguardo italiano e multiforme. Avviata da Tommaso Lucherini e proseguita dalla figlia Bianca Attolico, scomparsa nel 2020, la Collezione Attolico attraversa un significativo lasso temporale, dagli anni Venti fino al XX secolo, toccando le Neoavanguardie, l’Arte Povera, la Scuola di San Lorenzo, per raggiungere il nostro tempo. Scelti in accordo con il Direttore del museo, Marco Tonelli, e grazie agli apparati critici di Lorenzo Fiorucci e Davide Silvioli, i lavori ora in mostra diventano la bussola che guida un viaggio eccentrico e visionario, ma anche fedelmente connotato dal punto di vista formale, nella storia di una collezione che si instaura, in continuità storica oltre che di confronto, all’interno di un’altra collezione, quella permanente di Spoleto, che comprende anche opere di Leoncillo, Pascali, Ceroli, Accardi, Griffa, Lo Savio, Mochetti, LeWitt, Calder, Pepper, Moore, Caro, David Smith.
Grazie alla collezione, dunque, insieme alla passione e alla ricerca del collezionista, noi possiamo usufruire di varie identità del tempo passato. Parimenti valore ha l’archivio, vera e propria pratica che permette, creando uno spazio fisico di lavoro, di implementare il patrimonio documentario oggetto della ricerca. È questo il caso di EM Library, progetto digitale concepito nel 2020 dallo Studio Eliseo Mattiacci, con cui Palazzo Collicola sottolinea l’importanza della ricerca d’archivio. Curata da Riccardo Tonti Bandini, la mostra è suddivisa in sezioni, ognuna dedicata all’approfondimento di un tema e affidata a un autore che veicola le libere associazioni tra libri e lavoro dello scultore. Così per esempio Sara Fontana interagisce con l’opera Sette corpi di energia (1973) per raggiungere il tema delle Culture indigene; Francesca Cattoi si articola tra Pablo Picasso e l’opera Scultura stratosferica (1986); Sergio Risaliti ha scelto il Rinascimento e l’opera Equilibri precari quasi impossibili (1992); Ester Coen dall’opera Aton (1988) risale al Mito del sole; Marco Tonelli si muove nel campo della Fisica partendo dall’opera Atomi e Nuclei (2010); Vittorio Rubiu (1967) con il cancello di Villa Brandi recupera il Viaggio Brandiamo; e Riccardo Tonti Bandini con l’opera Cultura mummificata (1972) approfondisce Giovanni Carandente. La straordinarietà di questa mostra, dedicata al primo ciclo del progetto e che si concretizza visivamente in un caleidoscopio iconografico, risiede nello svelamento della bibliografica come strumento primario di indagine nel lavoro.
Nel segno dell’eclettismo e della trasversalità, ad arricchire l’offerta espositiva di Palazzo Collicola è Euforia Carogna, progetto pensato appositamente per lo spazio e realizzato anche grazie al contributo del Festival dei Due Mondi. La mostra, a cura di Flavia Mastrella e Marco Tonelli, è al contempo documentaria ed evolutiva e comprende sculture interattive, video e fotografie ibridando suono, rumore, oggetto e corpo in una continua metamorfosi. Come un vero prodigio, Euforia Carogna riesce a unire il concetto di spettacolo – spectaculum, ciò che è visibile, e speculum, ciò che rimanda a un’immagine – e quello di performance, intesa come azione nel suo compiersi, restituendo due diversi sguardi su un medesimo oggetto. Dall’ingresso del Palazzo, passando per la sua collezione, la mostra a cui Antonio Rezza dà voce e corpo e Flavia Mastrella sostegno e struttura, invade lo spazio e si lascia invadere dal pubblico, sollecita e vuole essere sollecitata. Cicli di sculture di scena utilizzate in Fotofinish, gigantografie tratte da alcuni spettacoli teatrali, libri a rotelle e fatti a mano, Quadri di luce, Quadri di scena, Carte da Giogo, Visi…Goti, strumenti musicali, sculture di stoffa su fogli specchianti, video, frammenti di film, azioni teatrali e voci come Il pianto del centauro assumono le sembianze di un organo vivo, autonomo, dotato di un cuore che batte, e che porta a piena visibilità tutti i percorsi attraverso cui gli artisti hanno spinto i confini dell’arte senza paura: “avvertire la libertà senza la necessità di idealizzarla, è un’occasione che non teme l’incertezza del futuro”.
L’incredibile e ricca visita si conclude con la mostra di Fabrizio Plessi, a cura di Marco Tonelli e realizzata in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Venezia, che presenta una ricostruzione digitale di sei scenografie elettroniche, tra le più coinvolgenti e innovative realizzate nella carriera dall’artista, attraverso filmati, foto, progetti, disegni e annotazioni proiettati su altrettante ricostruzioni di monumentali libri di legno e digitali. Scorrono così, come racconti fantastici: The Fall of Icarus (1989), Titanic (1992) ed Ex machina (1994), oltre a Vestire gli ignudi di Pirandello (2010), Romeo e Giulietta di Shakespeare (2006) e Fenix DNA installata presso il Teatro La Fenice di Venezia (2017). Resa possibile grazie al sostegno della Fondazione Marignoli di Montecorona e Agli Amici di Palazzo Collicola, la mostra “Fabrizio Plessi: pagine di Luce”, restituendoci l’agire sperimentale e pionieristico di Plessi negli anni Ottanta, dà romanticamente visibilità al senso di progettazione e di laboratorio, disvelando la creatività nelle sue fasi più intime: la gestazione, l’ispirazione, l’euforia, la fantasia e la visionarietà.
Come un sogno mai interrotto.
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