30 aprile 2022

Paolo Simonazzi, Il filo e il fiume – Palazzo Pigorini

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131 rullini e 1310 scatti, per venti fotografie in mostra: Paolo Simonazzi, a Palazzo Pigorini di Parma, ci racconta il "grande fiume" italiano e le sue atmosfere

Paolo Simonazzi, Comacchio (FE), 2013

Il 26 marzo 2022 ha inaugurato nelle sale di Palazzo Pigorini, nel centro storico di Parma, la mostra “Il filo e il fiume” di Paolo Simonazzi. Curata da Andrea Tinterri e Ilaria Campioli e organizzata dall’Associazione Bondeno Cultura ABC, l’esposizione rientra nel programma di Parma Capitale della Cultura 2020+21, con la collaborazione del Comune di Parma.
Il percorso vede protagonisti venti scatti di grande formato, testimoni del progetto che Paolo Simonazzi ha dedicato al Po e ai territori che il fiume attraversa.
La mostra è raccontata dal volume omonimo edito da Silvana Editoriale, che raccoglie l’intera serie di fotografie scattate fra il 2013 e il 2021; i cinquantasei scatti sono corredati dai contributi critici di Davide Papotti e Francesco Zanot. Il volume è dedicato alla memoria di Riccardo Brizzi, celebre neurochirurgo, grande riferimento per Simonazzi e promotore di un’associazione per la salvaguardia del fiume Po.
Il racconto del percorso sul fiume è descritto dalle parole dell’artista, di Davide Papotti e Francesco Zanot nel video Viaggio lungo il fiume del regista Riccardo Marchesini, visibile in mostra; da questo contributo e dagli scritti si evince come il progetto prenda dichiaratamente ispirazione da Sleeping by the Mississipi (2004), indagine svolta dal fotografo statunitense Alec Soth lungo il corso del grande fiume dell’America Settentrionale.
Il titolo della mostra è invece un chiaro riferimento all’album musicale di Rosanne Cash, cantautrice americana figlia di Johnny Cash, The river & the Thread (2014).
Questo immaginario ambientale, musicale e culturale porta Simonazzi alla decisione di realizzare un progetto fotografico che lo induca a indagare «fino a dove arriva e fin dove si espande l’identità di un fiume».

Paolo Simonazzi, Pomponesco (MN), 2018

Il Po e il suo corso, ma anche i territori circostanti e le suggestioni ambientali e culturali ad esso legate, diventano quindi i protagonisti degli scatti fotografici. È chiaro infatti che la dimensione visibile di un fiume sia rappresentata dall’area geografica descritta dalle sue acque, ma il fiume necessariamente crea, circoscrivendo l’area spaziale, anche un’area culturale e temporale, un territorio segnato dalle vite dei personaggi che lo hanno vissuto e determinato dal sedimentarsi di azioni e fatti che ne rappresentano l’entroterra culturale.
Le parole di Davide Papotti rivelano la necessità primaria, che ha dato il via alla parte pratica della ricerca, di indizi ed elementi concreti che fungessero da riassunto del territorio fluviale.
Il lavoro di Simonazzi è preciso, chirurgico niente è lasciato al caso. I sopralluoghi e i viaggi volti alla realizzazione degli scatti fotografici sono premeditati; i territori da indagare preventivamente analizzati e con cura minuziosa sono state programmate indagini sul campo per la scelta dei luoghi in cui realizzare gli scatti.

Paolo Simonazzi, Luzzara (RE), 2020

L’elemento chiave della scoperta e del racconto diventa quindi «l’inaspettato nel familiare», come racconta il fotografo parlando della visita al paese di Bergantino, in provincia di Rovigo, luogo simbolo della produzione di giostre in cui ha trovato ad accoglierlo, inaspettatamente, una ruota panoramica in mezzo al nulla; o, ancora, l’incontro con l’artista naïve Elena Guastalla, avvenuto nel 2019, ritratta come se fosse una visione, ma legata in modo inscindibile e materiale al verde che la circonda e dal quale appare, quasi fosse un personaggio appartenente alla corrente del Realismo Magico.
Il territorio esplorato permette a pensieri e aspettative di formarsi in modo naturale nelle menti degli spettatori. L’abitudine al percorso e la familiarità con il paesaggio non hanno nulla di soprannaturale: proprio perché caratterizzato nei colori e nelle fattezze da una sorta di immobilità nebulosa, il paesaggio fa sì che ciò che ne scaturisce sia caratterizzato da un alone magico in un uno spazio-tempo apparentemente destinato all’immobilità, succube solo del ciclo delle stagioni e del clima.
I pochi personaggi ritratti sembrano familiari al fruitore della mostra, quasi un simbolo del paesaggio raccontato; negli scatti, infatti, è visibile un luogo dell’anima, legato alle radici, all’infanzia trascorsa in provincia o, semplicemente, nella Pianura Padana; un luogo che si rivela immutato nel tempo e crea un immaginario visivo simile, nelle sensazioni, a quello del maestro Luigi Ghirri.
La scelta di mostrare raramente il fiume nelle fotografie è dovuta all’influenza del lavoro di Soth; il fiume è una presenza discreta che aleggia nei dintorni, che svela il reale e il surreale dei luoghi di provincia insieme alle persone che li popolano.
Davide Papotti spiega, nel saggio critico, che il progetto è nato con l’intento di porsi una sfida geografica e seguire il filo del fiume Po lungo il suo corso, anche se questo non avviene poi in modo tradizionale: «[Simonazzi] lo fa piuttosto per sottrazione, escludendo quasi sempre l’immagine stessa delle acque, ma cercando di indagare l’invisibile respiro identitario del fiume».

Paolo Simonazzi, Bergantino (RO), 2017

La fotografia, in tal senso, rappresenta situazioni perfettamente reali, ma la cromia, l’atmosfera nebbiosa e il tempo dilatato trasmettono anche un sentimento primitivo che lega l’abitante a un paesaggio che gli è affine o appartiene a un luogo della memoria capace di far emergere il senso di attaccamento a questi luoghi.
Il filo, così, sostituisce il fiume e ne è simbolo nel suo lento e inesorabile scorrere. Un filo che scorre, collega e divide elementi, situazioni e luoghi. «Viaggiando per la pianura padana, appaiono continuamente cavi della luce, fili per stendere la biancheria, corde per ormeggiare le barche, lenze che pendono dalle canne dei pescatori, fili del telefono» spiega Papotti, sottolineando l’elemento reale del fiume, ma allo stesso tempo dichiarandolo metafora, simbolo del senso più alto del percorso, dell’indagine compiuta dall’artista.
Le fotografie sono state selezionate seguendo un criterio di sottrazione: sono state scelte immagini che costituissero punti di riferimento nel percorso, ma anche e soprattutto nel discorso trattato. Il lavoro è stato realizzato con pellicola analogica e poi digitalizzato per un totale di 131 rullini e 1310 scatti; la necessaria selezione finale ha poi portato alle venti fotografie in mostra.
Francesco Zanot le definisce «fotografie che risuonano secondo un ritmo sincopato con percorsi, salite e discese, come nella musica jazz, a creare infine un itinerario imprevedibile».

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