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Paolo Ventura, autobiografia con pittura
Arte contemporanea
Paolo Ventura (Milano, 1968) lo conosciamo principalmente come fotografo, e proprio la sua attività di fotografo lo ha reso famoso in ogni dove. Perché la fotografia è stato sempre il suo mezzo di espressione di elezione. Ma le sue fotografie, si sa bene, sono il risultato di un lento e laborioso processo di costruzione. Una costruzione non solo delle inquadrature, ma anche, e soprattutto, di quello che sarà inquadrato. Per tale necessità ed esigenza Paolo Ventura crea e produce ogni elemento dei suoi scatti, dagli edifici agli abiti. E ricrea, così, quelle atmosfere, a metà tra il reale e l’onirico, che corrispondono al suo immaginario. Un immaginario che affonda le radici nel passato, o meglio, nel suo passato. Quello dell’infanzia. Quello, cioè, che lentamente si è formato durante i pranzi domenicali, o gli spostamenti in macchina col padre. Momenti in cui, al centro delle conversazioni, vi erano sempre gli stessi temi: quelli della guerra.
E questi specifici racconti sono diventati il mondo non solo immaginario, ma anche quello nel quale trovare rifugio, creando nuovi scenari e nuove avventure. Ma Paolo Ventura, con le sue fotografie, incrina il concetto stesso di fotografia. Sentita da sempre come strumento di registrazione fedele della realtà, attraverso le sue ricostruzioni puntuali e precise, con l’immancabile supporto del fratello gemello Andrea, con la fotografia Ventura produce contemporaneamente un vero e un falso storico: veri sono le situazioni, i fatti, ma falsi perché ricreati, in luoghi, tempi e protagonisti diversi. È per questa pratica che Paolo Ventura si definisce “impostore” nel libro Autobiografia di un impostore, narrata da Laura Leonelli (Johan & Levi, 2021). È da questo punto che ha preso le mosse la personale “Autobiografia (con ex voto)” da VisionariaArtSpace, curata da Gianluca Marziani.
Da questo punto Paolo Ventura incrina anche alcune convinzioni artistiche circa il suo conto. Perché, come detto, seppur lo conosciamo principalmente come fotografo, c’è anche la pittura nella sua produzione, anche quando è fotografia. Con quella delicatezza, quasi infantile, riporta sulla carta dettagli ed elementi di momenti del passato. Alla stessa stregua dei dettagli a tutto quadro di Domenico Gnoli, Paolo Ventura non si sofferma sull’insieme, ma pone il suo sguardo su singoli particolari, piccole minuzie. Degli accenni. Che, però, sono in grado di accendere infinite associazioni e attivare innumerevoli correlazioni. Perché ciascun frammento, quello di un personale ricordo, è una traccia di un universo ben più ampio che ognuno porta nel personale mondo costruito dalla fantasia: un ricordo personale che si fa collettivo.
Dunque, attraverso questa mostra mostra, sono state diverse le novità che suggestionano il visitatore. Oltre a un’esposizione “non di fotografia”, vi era anche l’atmosfera che creano questi acrilici: quella di un tempo passato, forse leggero e disincantato, ricreata, oltre che con i dettagli, anche con le linee, i colori, mai violenti né aggressivi, quasi di morandiano tocco. Un Autoritratto affiancato da Eusebio o da Madonna o da Circo, ovvero gli accenni di aneddoti personali legati alla sua storia, al suo passato, alla sua infanzia. A questa serie, si accompagna quella degli Ex voto. Qui c’è un ulteriore scarto, perché apparentemente sembrano dipinti, ma sono fotografie sulle quali, come gli ormai definitivamente scomparsi pittofotografi è poi intervenuto con la pittura, aggiungendo dettagli, fin quasi stravolgendo lo scatto di partenza. Soldati che portano le tracce della guerra – ovvero: Paolo Ventura che interpreta dei soldati in guerra. Alcuni con quel fondo d’oro di medievale ricordo, che conferisce però atemporalità e infinito a tutta la narrazione; altri nel nero della disperazione o nel rosso del dolore.