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Parallel Perspectives. Seen/Unseen, di Britta Lenk
Arte contemporanea
Due performer e due fotografi professionisti entrano in relazione tramite gestualità, pause, ripetizioni: è questa l’idea che guida l’azione di Parallel Perspectives. Seen/Unseen, ideata da Britta Lenk, con la curatela di Angelica Gatto, per riflettere sullo statuto dell’immagine. È essa un prodotto dell’artista o dello spettatore?
Nata dal progetto editoriale Seen/Unseen, che raccoglie le testimonianze di fotografi d’arte e di studiosi di diverse discipline con l’obiettivo di comprendere come la fotografia sta trasformando il mondo dell’arte e non solo, la performance vive negli spazi di artQ13 dove i danzatori/performer Luca della Corte e Valentina Sansone vengono documentati dal fotografo Sebastiano Luciano – la cui macchina fotografica è collegata a un computer che trasmette in tempo reale gli scatti, proiettati sulla parete – mentre il fotografo Giorgio Benni riprende e documenta l’intera azione. Accade, così, che l’immagine reale e riprodotta si amplifica e moltiplica e lo sguardo, al contempo, si disperde e cambia traiettoria. Prendendo spunto da questo cortocircuito visivo, approfondiamo con Britta Lenk e Angelica Gatto lo statuto dell’immagine e il suo rapporto con archivio, effimero, partecipazione, realtà e rappresentazione.
Angelica e Britta, prendo spunto dalle parole con cui Angelica chiude il testo che accompagna la performance – «L’immagine quindi si configura come un prodotto dell’artista o dello spettatore? Come cambia la nostra percezione in relazione a un’immagine e al suo contesto?» – e vi chiedo quale risposta potete dare, o siete riuscite a dare, con la performance Parallel Perspectives. Seen/Unseen?
AG: «In Visual Pleasure and Narrative Cinema (comparso per la prima volta sulla rivista accademica Screen nel 1975), Laura Mulvey propone un approccio psicanalitico per approfondire come la seduzione per l’immagine filmica sia rinforzata da modelli di fascinazione preesistenti, attivi nell’individuo e nelle formazioni sociali. Il film per Mulvey rivela l’interpretazione socialmente stabilita della differenza sessuale. Così come la pensavano Christian Metz o Jean-Luc Baudry, anche per Mulvey, il film si rivolge direttamente allo spettatore inscrivendolo nella visione. Ecco, Parallel Perspectives. Seen/Unseen sviluppa un assunto di base: da spettatori, non veniamo soltanto fagocitati dalla iperproduzione di immagini, ma sviluppiamo – in senso critico o a-critico – una capacità, sia attiva che passiva, di riprodurre ed elaborare quelle stesse immagini fruite. Il contesto è perciò qualcosa che riguarda il costrutto sociale, le abitudini consolidate, gli aspetti con cui inconsciamente noi tutti ci troviamo a fare i conti. L’immagine si origina dall’interazione di questi, così come di altri, innumerevoli fattori. Probabilmente un aspetto interessante potrebbe essere quello di riflettere con sguardo rinnovato su ciò che percepiamo da sempre come qualcosa di immutato/immutabile: i processi sinaptici e l’elaborazione contestuale di chi siamo e della modalità attraverso cui attiviamo la nostra visione influiscono sulla percezione dell’immagine tanto quanto il demiurgico atto di creazione».
BL: «La questione della paternità di un’immagine, che sia il prodotto dell’artista o dello spettatore, problematizza le complesse interazioni tra arte e spettatore di cui parla Parallel Perspectives. Seen/Unseen. Dopo il postmodernismo e nell’era dell’arte partecipativa, lo spettatore è diventato sempre più al centro dell’attenzione. Un’immagine non è più vista come un’opera statica e compiuta, ma come un processo dinamico che trova il suo completamento solo attraverso l’interazione con il pubblico. La stessa opera d’arte, posta in un altro ambiente, produce un effetto completamente diverso, poiché anche il contesto e l’atmosfera ne influenzano la ricezione. Questo è stato anche il caso della mia performance Parallel Perspectives. Seen/Unseen, che è stata concepita in maniera site-specific. Date le specifiche condizioni dello spazio, il mio progetto si è confrontato con esse per poterle mettere in relazione creando assi visivi insoliti che permettessero allo spettatore di mettere in discussione la propria percezione nell’interazione delle immagini (performance reale e immagini virtuali). La decisione su quale immagine avrebbe ricevuto l’attenzione dello spettatore è stata presa su base situazionale e individuale: lo spettatore si è formato la propria impressione della performance oppure si è lasciato catturare dallo sguardo soggettivo del fotografo, per poi “confrontare” le due cose in momenti diversi».
Britta, mi piacerebbe proporti questa riflessione di Philippe Dubois: «la fotografia non è solamente un’immagine (il prodotto di una tecnica e di un’azione) è anche un vero e proprio atto iconico, un’immagine se si vuole, ma attiva […] essendo inteso che questo atto non si limita al solo gesto della produzione propriamente detta dell’immagine ma include anche l’atto della sua ricezione e della sua contemplazione».
«In effetti, la riflessione di Dubois è molto interessante e sottende ciò che anche gli spettatori hanno potuto comprendere in Parallel Perspectives. Seen/Unseen: Il fotografo (Sebastiano Luciano) che ha accompagnato i danzatori (Valentina Sansone e Luca della Corte) nella loro performance con la sua macchina fotografica, così come il “secondo” fotografo (Giorgio Benni) che ha documentato il tutto, hanno compiuto un atto iconico prendendo decisioni consapevoli su composizione, esposizione, prospettiva e altri elementi fotografici. Queste decisioni non solo influenzano l’immagine in sé, ma contribuiscono anche alla creazione di un linguaggio visivo che trasmette un particolare messaggio o estetica. Il modo in cui un’immagine viene interpretata dipende dall’esperienza, dal retroterra e dalle aspettative dell’osservatore. L’immagine, pur rappresentando un momento congelato nel tempo, diventa un oggetto dinamico che assume significati diversi a seconda della prospettiva dello spettatore. È proprio attraverso il parallelismo degli sguardi nella performance che l’atto costruttivo del vedere dello spettatore viene sfidato in modo particolare e la fotografia contribuisce a un dialogo attivo tra spettatore e immagine».
Parallel Perspectives. Seen/Unseen nasce da un progetto editoriale e mette in gioco alcune matrici a mio avviso importanti nella comprensione della portata storica ed estetica della performance: archivio ed effimero, realtà e rappresentazione. Britta, come ti muovi tra questi poli, su queste due assi e con che specificità intervengono in questo lavoro e più in generale nella tua ricerca?
BL: «L’idea di utilizzare una performance per presentare il libro Seen/Unseen, pubblicato da Verlag Kettler nel 2023, è un approccio insolito e riflette il tema centrale della documentazione fotografica dell’arte contemporanea. La performance Parallel Perspectives. Seen/Unseen è un modo artistico per esplorare la dualità della fotografia come archivio ed effimero. La documentazione fotografica testimonia il passato formulando una differenza rispetto alla realtà e producendo così significato. Senza la documentazione fotografica, è come se l’opera artistica non esistesse o non avesse avuto luogo, soprattutto nel campo delle performance e delle azioni. Nella performance le foto in tempo reale sono sovrapposte in costante alternanza, paragonabile al nostro processo di percezione in cui nuove impressioni sensoriali si sovrappongono alle precedenti, dimostrando così la dualità della fotografia tra archivio ed effimero. La dicotomia tra realtà e rappresentazione è un aspetto centrale della fotografia e solleva domande fondamentali su come il mondo viene percepito e rappresentato attraverso il mezzo fotografico. La performance integrava l’intelligenza artificiale, un sistema progettato da Carlo Caloro che forniva indicazioni in tempo reale al fotografo per ottimizzare le fotografie. Mi piace perciò concludere questa intervista con un’ulteriore domanda: in che modo l’intelligenza artificiale continuerà a trasformare il nostro processo di percezione nell’ambito dell’arte e oltre?».