Dalla casa al villaggio, dalla dimensione abitativa del singolo a quella della collettività . Tracciando l’incipit di un percorso concettualmente coerente incentrato sui luoghi del vivere e dell’operare e sulla coesistenza nel Mediterraneo, Kora, Centro per le arti contemporanee ospitato in Palazzo Gualtieri a Castrignano dei Greci, nel cuore del Salento, affidato a un’ATI di quattro associazioni, di cui capofila è Ramdom, dopo la mostra “Home sweet home”, propone “Parla del tuo villaggio”, nuova esposizione dedicata ai luoghi della socialità (fino a giugno 2023). Il titolo, un invito al pubblico a raccontare e a raccontarsi, è tratto dall’opera permanenente di Bianco-Valente collocata all’esterno del Palazzo, a sua volta derivata da una celebre frase di Tolstoj: “Se vuoi essere universale parla del tuo villaggio”. Una grande scritta posta all’apice della facciata laterale, prospiciente il giardino affacciato sulla strada, luogo di per sé transitorio, pensatoio comune in cui la proprietà privata si apre alla pubblica condivisione. Il duo lucano-campano, sempre convincente in opere pubbliche nate dalla relazione e della riflessione condivisa sul territorio, esplicita subito il focus dell’operazione. «Una mostra che ambisce a diffondersi nel territorio, nel tempo», precisa Claudio Zecchi, che insieme a Paolo Mele cura l’intero progetto, e che, come è stato per quella che l’ha preceduta, si configura come un work in progress, con un allestimento mutevole, destinato a cambiare in corso di fruizione.
Perfetta metafora del passaggio dal singolo al molteplice è l’azione partecipata restituita in video da Filippo Berta, incipit del percorso espositivo. Girato nella cava dei dinosauri ad Altamura nel 2015, in occasione di “Casa Futuro Pietra”, progetto curato da Giusy Caroppo, l’opera propone alcuni individui nell’atto di tracciare delle linee sul terreno. Il gesto di ciascuno, solo astrattamente pensato in autonomia, si relaziona a quello degli altri, dando origine ad una trama condivisa. E cos’è il villaggio se non un disegno comune, il risultato dell’individualità che infonde nella socialità , la decisione dell’uno che si sovrappone a quella dell’altro in una texture inestricabile? Acquisita questa consapevolezza il percorso prosegue al piano superiore dove si apre una ragionata sequenza di opere incentrate sul concetto di luogo inteso come località geografica ma anche come serbatoio esperienziale e mnesico.
La prima sala ospita l’opera sonora di Enzo Umbaca Sgarida/Voice of the Valley, indagine del 2018 dedicata alla sgarida, vocalizzazione gutturale tipica della Valle del Blenio, utilizzata dagli abitanti del luogo con una funzione di richiamo e di avviso. Un suono che funge da comunicazione a distanza ma anche da rito collettivo, elemento identitario in cui riconoscersi come comunità . Segue l’opera “Untitled Anarchitecture” di Andrea Nacciarriti, riproposizione in termini localistici (un sacco pieno di frammenti di pietra leccese) di un lavoro ideato in Piemonte in occasione di una personale. Una non-scultura o non-architettura ma anche scultura e architettura in potenza, elemento generativo di qualcosa che deve ancora essere e che nel suo diventare induce ad interrogarsi su ciò che sarà e su quale funzione dovrà assumere.
Sono sculture già compiute invece, nate dalla combinazione di attrezzi del fare contadino, le opere in terracotta di Marco Maria Zanin, artista-antropologo impegnato nell’assemblaggio materiale e concettuale di elementi derivati da culture eterogenee. Segue l’installazione di Claudia Losi, separatori realizzati in sete tinte con colori naturali su cui si staglia, in una composizione spiraliforme, un bestiario tratto da manuali ottocenteschi ma con un sistema combinatorio autogenerativo, simile a quello adottato degli uomini delle caverne in cui un animale ne chiama un altro e una forma ne genera un’altra.
Ai fatti di paese, quelli che gli abitanti si raccontano per la strade, non di rado modificandoli e travisandoli, è dedicata l’installazione di Giuseppe Di Mattia. L’opera “Fatterelli”, nata nel periodo di residenza dell’artista, trae spunto dalla storia di Gigi, commerciante locale messosi in proprio perché animato dalla volontà di gestire il proprio tempo. In Gigi l’artista riconosce un autoritratto: anche lui ha scelto di diventare artista per gestire da solo tempo e risorse. De Mattia si insinua nei buchi neri del racconto per riscriverlo. Ri-scrivendo la storia altrui mediante via oggettuale e performativa, immagina e ripensa la propria, in altre parole, indagando l’altro scopre se stesso.
Si muove tra racconto documentato e narrazione inventata anche il video del duo composto per l’occasione da Theodulos Polyviou (cipriota a Berlino) e dallo svizzero Alfatih. Immaginando il racconto del custode del castello di Castrignano e costituendo un archivio di tracce documentali più o meno veritiere e attendibili, il duo combina elementi architettonici ed elementi narrativi in una storia persuasiva che induce ad interrogarsi sul sottile, spesso sfilacciato, confine tra fonte e tradizione.
Chiude il percorso “Satellite tra le nuvole” di Francesco Cavaliere, opera che contamina linguaggio musicale e visivo, incentrata sulla storia delle antiche pozzelle, carica di errori materiali e contenutistici, non tutti voluti: un’opera imperfetta per una storia imperfetta.
Parte integrante del percorso sono infine le due opere open air nate come concretizzazione di utopie possibili – in continuità con il libro Utopie realizzabili (1974) di Yona Friedman – entrambe incentrate sul concetto di comunità : la prima una serie di poster desunti dal progetto realizzato da Luigi Coppola tra il 2014 e il 2022 e dedicato al Mulino di Comunità a Castiglione d’Otranto, la seconda un grande dipinto murale sulle pareti esterne dell’Istituto Comprensivo di Castrignano eseguito a conclusione di un workshop tenuto da Bianco-Valente.
Modi differenti di interpretare il villaggio, forieri di una rivisitazione del concetto di locale così come della dinamica tra centro e periferia, evidentemente tutta da riscrivere.
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