La mostra è ospitata nel cuore dell’Ospedale Vecchio, un complesso architettonico il cui primo corpo di fabbrica risale all’inizio del ‘200 e la cui costruzione è stata voluta dall’abile e disinvolto Rodolfo Tanzi. Accresciuto e articolato secondo i criteri estetici e funzionali di volta in volta in voga, è rimasto attivo fino agli anni 20 del XX secolo. L’ospedale è stato collocato Oltretorrente o nel quartiere di Capo di Ponte, una zona un tempo ricca di campi, adibita anche a sepoltura, zeppa di attività commerciali e artigianali, un quartiere popolare che costituiva un alter ego rispetto alla porzione cittadina centrale e più elegante dove sorgevano cattedrale, battistero e i palazzi nobiliari. Capo di Ponte tuttavia aveva anche il pregio di ospitare il grande parco ducale, esistente ancora oggi, dove sorge il Palazzo Ducale. Lungo la strategica via Emilia dentro le mura, sorse quindi l’Hospitale, luogo di ricovero per i pellegrini, di cura dei malati e di riparo degli orfanelli. Gestito da laici che spesso avevano donato le proprie sostanze per la causa, viveva di autosussistenza, dato che possedeva campi, orti, botteghe che servivano per sfamare le bocche all’interno dell’ospedale e per mantenere la complessa e vasta macchina ospedaliera.
Parma capitale della cultura 2020-2021 inizia qui, nell’Hospitale, che costituisce il punto focale di tutto il programma culturale di Parma. Infatti l’Hospitale è al centro di un complesso progetto di riqualificazione architettonica e urbana che prevede la divisione della città in sette Distretti socio-culturali, ciascuno adibito ad un’attività che caratterizzerà in maniera forte e lungimirante le diverse zone. I Distretti sono dedicati alla musica, alle imprese creative e di rigenerazione urbana, al cinema e all’università, all’agroalimentare e all’educazione creativa fino al nostro Distretto della cultura e della memoria sociale, civile e popolare. Quando questo ambizioso progetto sarà portato a compimento sarà compiuta anche la trasformazione di Parma in una città all’altezza delle più moderne e aggiornate città europee e potrà sicuramente aspirare (come incita il presidente David Sassoli nella presentazione di Parma Capitale) a diventare di diritto capitale europea della cultura.
I valori che vengono chiamati in campo e rappresentano in maniera forte le finalità progettuali dell’intervento sono secondo il sindaco Federico Pizzarotti quelli della storia e della memoria: non si può costruire il futuro senza avere un saldo ancoraggio nel passato. Per questo, dopo decenni di abbandono e tentativi di progetti rapaci, il complesso verrà riportato all’antico splendore, diventando un polo multifunzionale che ospiterà il museo della città, la biblioteca civica e l’archivio di stato. Un altro valore importante, sottolineato dall’assessore alla cultura Michele Guerra, è quello relativo all’accoglienza che s’incardina nell’antica funzione della cura del luogo. Non si potrebbe chiedere di meglio ad una città che sta dimostrando di essere capace di fare sistema con le differenti entità istituzionali e produttive del territorio e che ha coinvolto nella sua rete le città di Piacenza e Reggio Emilia e che quindi da finalmente un esempio di buongoverno e di visione verso ampli ed aggiornati orizzonti futuri. Anche la scelta di chiamare per la mostra, che presenta e rappresenta lo starting point dell’operazione, STUDIO AZZURRO non poteva essere più azzeccata. Il gruppo si è da sempre confrontato con le arti multimediali, iniziando con la fotografia e subito dopo con il video, rapportando i nuovi media con l’espressione teatrale, fortemente rappresentativa delle istanze legate al corpo, alla tattilità e al movimento fluido e spettacolare degli attori. A partire dagli anni Novanta il linguaggio si è arricchito con l’introduzione dell’interattività e quindi con una partecipazione più stretta e coinvolgente dello spettatore. Infine un ulteriore step di Studio Azzurro è rappresentato dal loro lavoro nell’ambito di percorsi didattici museali interattivi, capaci di animare i luoghi con l’illustrazione delle tappe di qualsiasi storia.
Anche nell’Ospedale Vecchio il gruppo ha lavorato con consumata esperienza con diversi concetti legati ai diversi tipi di presentazione del lavoro. Attraversato l’arco trionfale e la scalinata settecenteschi infatti si entra nell’enorme navata dell’edificio e subito si incontra il sistema di otto schermi contigui che ricompongono la facciata porticata dell’ospitale con gli edifici attigui in modo da simulare una piazza e dare continuità e completezza di visione allo spettatore che non può cogliere in una visione unica il complesso a causa della ristrettezza della via: il tempo che passa e accoglie personaggi diversi è dato dalle minuscole figurette che in veste medievale o ottocentesca attraversano la scenografia che mostra il passaggio del giorno e della notte. L’introduzione quindi è l’oggetto materiale, l’architettura. Si prosegue verso quella che era la crociera e snodo della pianta cruciforme del complesso dove un tempo c’era l’altare con le quattro virtù ai lati: questo momento è riproposto con la simulazione dell’altare e delle virtù che sembrano fluttuare sui veli dove scorrono come diafane presenze. Infine, il terzo momento, è dato da otto stazioni, otto momenti della storia dell’Ospitale Vecchio, raccontati da due attori: Giovanna Bozzolo e Marco Baliani, che recitano su testi di Guido Conti. Le immagini si alternano in progressione, in modo da fare muovere lo spettatore nello spazio e creare diversi punti di vista e situazioni. La centralità è data in questo caso dal racconto, dalla storia, dalle persone attraversate dalle parole. Ricorda il cinema, il teatro, il videoracconto ed è tutte queste espressioni insieme.
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