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Partecipare per creare: la mostra di Yoko Ono alla Tate Modern di Londra
Arte contemporanea
Fino all’1 settembre 2024 si potrà non solo assistere ma anche prendere parte attivamente a una delle esperienze artistiche più coinvolgenti in uno dei musei d’arte moderna e contemporanea più rilevanti al mondo. La Tate Modern, in collaborazione con la Kunstsammlung Nordrhein-Westfalen di Düsseldorf, ha allestito una mostra tributo pronta a ripercorrere, seguendo una cronologia approssimativa, le opere d’arte più significative della poliedrica Yoko Ono, meritatamente annoverata tra gli artisti più influenti e sperimentali del XX secolo.
Eclettica nelle arti visive, cinematografiche, sonore e fotografiche, Ono si è da sempre avvalsa del suo talento come forma di provocazione socio-culturale, rimarcando prese di posizione chiare e inequivocabili nelle sue campagne pacifiste per i diritti civili. E la Tate Modern vuole celebrare proprio l’impegno sociale dell’artista, attraverso la mostra allestita in suo onore, ad attestare l’impatto culturale provocato in oltre mezzo secolo di attività.
Ed è proprio per rimarcare questo ideale, colonna portante dell’arte di Ono, che la mostra alla Tate Modern assume un’essenza altamente interattiva: l’allestimento rievoca Grapefruit (Giappone 1964), il manuale di istruzioni per l’arte e per la vita scritto da Yoko che invita il lettore a immaginare, sperimentare, toccare, realizzare, ascoltare, completare il lavoro, al fine ultimo di stimolare e sbloccare la mente. Le indicazioni vengono rielaborate e rivolte ai visitatori della mostra, che diventano il tramite per il raggiungimento del concetto alla base dell’opera artistica, di per sé incompleta e portata a compimento proprio grazie all’intervento dei presenti, sotto la guida delle istruzioni dell’autrice. Tutto si mescola, l’arte non ha maestri né discepoli, ogni singolo visitatore si erge ad artista e ciascuna delle azioni svolte collocano lei, l’artista, nel ruolo di osservatrice.
Il percorso espositivo prende avvio da un ingresso rumoroso: un telefono squilla incessantemente finché qualcuno non risponde, ma è solo la registrazione di una vecchia segreteria telefonica che dice “Pronto? Sono Yoko” e poi riaggancia. Una delle prime sale accoglie il visitatore con la registrazione di una tosse assidua che si propaga da una direzione indefinita e, fastidiosa, persiste. A seguire, lo spettatore si imbatte davanti una placca bianca appesa alla parete sulla quale è invitato ad infilare dei chiodi con un martello, dando vita ad una performance spacca timpani (Painting to Hammer a Nail, 1966).
L’itinerario prosegue esplorando i lavori multidisciplinari dell’artista, includendo alcune tra le sue opere più dibattute: viene riproposta la performance in cui i visitatori erano invitati a tagliare pezzi dei suoi vestiti (Cut piece, 1964), al fine di esprimere il concetto di “dare e avere”, biasimando l’abitudine degli artisti che vogliono sempre dare ciò che meglio credono, mentre lo scopo di Ono è quello di far prendere alle persone ciò che preferiscono. Viene proiettato Film No.4 (Bottoms), del 1966, il cortometraggio, all’epoca censurato, su fondoschiena di uomini e donne, ripresi singolarmente a pieno campo, a sottolineare la posizione pacifista di Ono e i principi dell’arte partecipativa.
Il contributo attivo del pubblico viene richiesto sin dall’ingresso nel museo: la serie installativa di alberi piantati dall’artista a partire dal 1996 accoglie i visitatori invitandoli ad arricchire gli arbusti con i loro auguri di pace (Wish Tree). Performance pacifiste accompagnano lo spettatore per tutto il percorso: l’installazione White chess set (1966), che prevede una scacchiera di quadrati solo bianchi accompagnata dall’istruzione «Gioca finché non riesci a ricordare dove sono tutti i tuoi pezzi», attesta le posizioni antibelliche dell’artista.
L’opera Helmets (Pieces of Sky) (2001) culmina in una scomposizione: i visitatori sono invitati ad appropriarsi ciascuno di un pezzo di puzzle blu custodito all’interno degli elmetti militari, simbolo del cielo sotto il quale tutti viviamo e che, dunque, appartiene ad ognuno di noi. Una stanza completamente bianca ospita una barca altrettanto bianca: ai visitatori è chiesto di restituire colore all’ambiente asettico attraverso pennellate che rimarcano i proprio pensieri, ideali e speranze (Add color, Refugee Boat, 1960).
Sull’onda delle installazioni interattive a sostegno della pace il pubblico può intervenire, in conclusione, su un muro di tele lungo 15 metri, dove può allegare fotografie e messaggi intimi per omaggiare la propria madre (My mommy is Beautiful, 2004).
Il titolo della mostra, Music of the mind, evocativo del concetto guida di musica silenziosa, risuona come una metafora della produzione di un suono nell’immaginazione di chi la ascolta. Silenziosa ma reattiva, la composizione di Yoko Ono vuole innescare nel suo pubblico una reazione, uno stimolo che dall’ascolto conduca alla riflessione per poi sfociare nell’atto di assumere una posizione, di suscitare azioni collettive che contribuiscano a rinnovare la società. Perché ognuno di noi ha il potere di cambiare il mondo.