Tra le colonne di Nashira Gallery, fino al 13 settembre 2024, le grandi tele irregolari di Ako Atikossie, artista togolese classe 1980 che vive e lavora a Milano, ci invitano a riflettere sulla potenza simbolica di una realtà dimenticata. Sul Patrimoine Géo-métré, come il titolo della mostra nella nuova sede meneghina della galleria, in Via Valpetrosa 1, nel cuore delle 5VIE.
Nella definizione di “arte africana” rientrano tutte quelle creazioni realizzate dalla Preistoria a oggi nella parte del continente a sud del Sahara, dato che le regioni affacciate sul Mediterraneo sono state profondamente influenzate dalla cultura araba, islamica ed europea, come il Marocco e l’Algeria. Confrontando le esperienze culturali di queste ultime con quelle della piccola nazione del Togo, dal punto di vista artistico, vediamo espressioni totalmente altre e profondamente differenti. La grande varietà etnica e linguistica togolese corrisponde a una altrettanto considerevole varietà culturale: il Togo è uno dei Paesi dell’Africa subsahariana culturalmente più eterogeneo. I tratti comuni a tutte le tradizioni togolesi, per contro sono quelli tipici dell’Africa sud-occidentale. L’animismo, il voodoo e il culto degli antenati sono molto diffusi nonostante l’alta percentuale (circa la metà) di popolazione cristiana e mussulmana, difatti diverse etnie hanno mantenuto uno stile di vita tradizionale, rurale, nonostante i contatti europei. Il nobile distacco di queste terre dal resto del mondo è proprio ciò che le ha rese incredibilmente autentiche, ma allo stesso tempo prive di una narrazione adeguata e non stereotipica.
Parte della ricerca di Ako Atikossie è volta quindi a riabilitare e raccontare la storia del suo Paese, come nell’opera La mappa sepolta (2024); raffigurante la mappa di un sito archeologico togolese su una tela appesa per metà al muro e per metà bloccata a terra e coperta da una piccola pietra, l’opera denuncia il poco interesse dimostrato dalla storiografia per le testimonianze antiche di alcuni popoli. Di diversa portata, come osserviamo nell’opera L’occhio sul Sahel (2024), è sicuramente l’interesse economico, rappresentato da un grande occhio iridescente la cui pupilla triangolare sembra dilatarsi nello spazio pittorico, riservato a quegli stessi popoli e alle loro risorse. L’artista ripropone i simboli della sua tradizione, in maniera quasi ossessiva, cercando di – per dirlo con le sue stesse parole – «interpretare il passato, il presente e il futuro della materia dell’Universo».
Il tratto diviene quindi per Atikossie il segno da cui partono quasi tutte le sue opere: uno strumento di ricerca sui fenomeni naturali, scientifici e sulle forze che regolano la materia. Uno dei gesti più intuitivi, probabilmente, uno dei primi segni tracciati dai nostri antenati milioni di anni fa sulla sabbia, il tratto, così semplice, possiede intrinsecamente una complessità nascosta, capace di assumere i più vari significati: una linea può essere un meno, una lettera i o una l, o persino indicare o vietare una direzione, la geometria la definisce con la parola segmento, una successione finita di punti. Afferma Atikossie: «Creo forme, spazi e dimensioni geometriche. Considero il tratto come rappresentazione dell’elettrone, un simbolo che aiuta a comprendere e indagare le componenti fondamentali della materia». In maniera vagamente futurista, il pittore riesce a ottenere del movimento e delle forme dinamiche utilizzando unicamente un segno dritto. Ripetendo i suoi tratti ad inchiostro acrilico infinite volte sulla tela, l’artista trasforma lo spazio pittorico in una superficie dinamica, effetto amplificato dalla mancanza di forme definite nelle tele stesse, liberamente sagomate da Atikossie seguire le energie dei tratti, come vediamo in Fiore di Nyragongo (2024), Sull’altopiano di Agamè (2024).
Se nel ciclo di opere del 2023, Champ de Simulation, il pittore togolese ha esplorato il mondo marino, con le sue forme, colori e composizioni, i fondali e gli esseri viventi che li abitano, in Patrimoine Géo-métré il suo sguardo si sposta sulla terra e la sua morfologia, dalle stratificazioni rocciose, ai sedimenti, minerali e fossili, alle leggi della tettonica e delle placche. La terra e le sue risorse sono presentate come le vere custodi della memoria e del tempo. La cosmogonia africana, l’importanza dei simboli sciamanici, la vita e l’esistenza di realtà ancestrali sono concetti ben lontani dai nostri radar, quelli di chi scrive e, in buona parte, di chi legge queste righe. Ako Atikossie ce li racconta attraverso il suo tratteggio colorato, invertendo il nostro punto di vista e cercando di spiegare attraverso i suoi lavori la sua personale missione contro questa indolenza che ci ha reso insensibili all’essenziale.
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