Di bianco e nero è fatta la mostra “Zero Armi Nucleari” dell’artista Pedro Reyes, curata da Giuliana Altea, Antonella Camarda e Luca Cheri e visitabile fino al 22 febbraio a Orani. Nel candido lavatoio della piccola comunità, lo spazio esposizioni temporanee del Museo Nivola, si aprono due possibilità, due mondi.
Campeggia la nuvola atomica da una parte, dirompente sfera di fuoco, più grande del sole, più vasta del mondo. Zero Nukes, morbida scultura di tela e parte di Amnesia Atómica, progetto del Bulletin of the Atomic Scientists, è l’immagine della distruzione che la tecnologia può portare: un timore che sembra però dimenticato, caduto nell’oblio. Ma nelle file belliciste e tra gli ingranaggi della guerra qualcosa si rompe: compaiono gli abiti del dissenso e della protesta di Carla Fernández, a intonare il canto dei popoli che chiedono disarmo e concordia. Di fianco pendono, come spade di Damocle, le Stockpile, solide figure in veste di gonfiabili, simulazione di incombente pioggia di missili balistici intercontinentali, memento mori ed emblema degli oltre 12000 ordigni nucleari schierati e sospesi contro il mondo. E su tutto, esplosioni ed ordigni, lo slogan di Pedro Reyes abolish nuclear weapons e altri testi.
Invocante pace, dall’altra, la protesta delle manifestazioni antimilitariste in una pluralità di voci, lingue, scritture, con i cartelloni dipinti e la cifra sintetica e purista di Reyes: lo zero segnato nero sul bianco. Racconta un discorso corale, fatto di impegno e partecipazione popolare e di decenni di mobilitazioni, il dal murale fotografico Campagna per il Disarmo Nucleare (CND), esposto di fianco al Progetto per un memoriale ai morti di Hiroshima di Isamu Noguchi, a ricordare la bomba lanciata e farci promettere mai più. A contornare questo universo le testimonianze collettive: dalle riviste esposte fino alle spille, raccolte nel poster No one should have the power to kill us all!!! creato da Reyes. E ancora si staglia, ora bianco su nero, un emblema diventato simbolo universale della pace: significa insieme D e N, disarmo nucleare. Punto centrale di quest’altro possibile mondo la geometrica scultura di legno e gesso Statua di Pace, monolite androgino che offre al cielo la mano aperta che diventa colomba, promessa di concordia e armonia. Il grande blocco è un omaggio al monumento «in atto di protesta e di avvertimento contro la scelleratezza dei governi bellicosi» di Costantino Nivola Hombre de Paz, voluto per le Olimpiadi di Città del Messico del ‘68 e posto nella Ruta de la Amistad della megalopoli mesoamericana.
Ma incombe, su questo cosmo pacifico, un conto alla rovescia, 99 secondi, neanche due minuti alla fine. L’istallazione dell’orologio in forma di segno luminoso dal doppio display a sette segmenti ricorda la vulnerabilità della terra e il poco tempo che rimane per salvare tutto da armi e falchi della guerra, cambiamenti climatici e tecnologia dirompente.
Oltre lo spazio museale il discorso continua: il progetto Artists Against the Bomb invade le strade di Orani con i manifesti di Monica Bonvicini, Mónica de la Torre, Harrell Fletcher, Tsubasa Kato, Santiago Sierra e Abi Tariq, a testimoniare bisogno e impegno collettivo per la pace.
In una terra martoriata da giochi di guerra e fabbriche di morte, servitù militari e inquinamento, il Museo Nivola afferma l’importanza di non essere neutrali, pone domande e comunica speranza. Schieriamoci contro la guerra anche noi, affrontiamo una trasformazione alchemica: dal negativo al positivo, come invita Pedro Reyes, e risolviamo problemi difficili a partire da idee semplici. Abbiamo fatto il lavoro del diavolo ha detto lo scienziato atomico Oppenheimer: sono diventato Morte, distruttore di mondi. Non diventiamolo noi. Se non ci riusciremo le bombe brilleranno, il mondo andrà avanti. Ma noi non ci saremo.
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