Ha da poco inaugurato presso la galleria Giorgio Persano di Torino una mostra personale di Per Barclay dedicata al tema della casa e dell’abitare. La mostra si compone di due grandi installazioni che ripensano il concetto di casa, più alcune documentazioni fotografiche di opere degli anni novanta e alcune piccole installazioni a muro. Da luogo abitabile, rifugio e spazio privato, nell’opera di Barclay la casa si trasforma in un ambiente chiuso, eppure completamente leggibile dall’esterno perché trasparente. Il risultato è più simile ad una sorta di serra dentro la quale ogni nostro movimento sarebbe potenzialmente esposto ad occhi estranei. Tuttavia i confini delle case di Barclay disegnano spazi fisicamente destinati a restare inaccessibili, e dunque permeati da un profondo senso di alienazione che l’artista propone alla riflessione.
Se Walter Benjamin diceva che la speranza è data solo per chi non ne ha, allora le case di Barclay sono luoghi dialettici, in cui all’alienazione dell’essere insieme esposti e isolati, si contrappone l’allusione a un possibile superamento e a un’apertura creativa che è possibilità di vita e speranza. Perciò le case di Barclay sono realizzate in vetro e ferro, e, come già accadeva nelle camere ad olio di qualche anno prima, spesso appaiono sospese, appartenenti a una dimensione altra, che ha il carattere dell’assoluto. Si apre così allo sguardo, attraverso l’opera, una sorta di doppio della realtà in cui noi stessi possiamo specchiarci, riconoscerci e dunque portare infine alla coscienza la possibilità di un’insperata via d’uscita salvifica e vitale.
Le installazioni in mostra risalgono quasi tutte a qualche anno fa, con l’eccezione del pezzo più grande, che è posto al centro della galleria.
Senza titolo (2022) si compone di due case di vetro come quelle descritte, poste l’una accanto all’altra e costruite su muretti di cemento. Ognuna delle due case ospita un grande tamburo, l’uno di colore chiaro ed esposto verso un lato della galleria, l’altro di colore scuro e rivolto al lato opposto. Ritmicamente, a distanza, di diversi minuti, i tamburi suonano colpi sordi e potenti, con rimando ad una dimensione militare, alludendo dunque alla minaccia bellica che turba il momento storico attuale.
Nello spazio espositivo che si affaccia sul cortile di Palazzo Scaglia di Verrua, la galleria propone invece un’opera video di Driant Zeneli, artista albanese che ha rappresentato l’Albania alla Biennale di Venezia del 2019. L’opera è del 2021, si intitola How deep a dragon fly swim under the ocean? ed è ispirata alla vicenda personale e realmente accaduta di Rilon Risto, giovane conterraneo dell’artista finito ingiustamente in prigione per omicidio quando era ancora ragazzo e solo dopo tempo scarcerato per non aver commesso il fatto. Negli anni di prigionia, Risto ha però sviluppato la capacità di costruire meravigliosi insetti robotici, capaci di muoversi in parte come fossero reali.
Qui si propone come ancora una volta una dialettica, in questo caso quella tra una libellula meccanica, che può bensì muoversi ma mai spiccare il volo, e una piovra, che scivola disegnata sui muri degli spazi labirintici della prigione. Alla piovra si è però uniti da un doppio legame nel senso freudiano: se da un lato la piovra è considerata l’antagonista di cui liberarsi, dall’altro è anche riconosciuta come qualcosa di cui si ha bisogno, che addirittura, per paradosso, mantiene in vita. Tutto questo ha molteplici livelli di lettura, tutti densi di pathos, che vanno dal racconto di un dolorosa vicenda reale alla metafora di una condizione esistenziale ai giorni nostri assai diffusa e permeata da un profondo senso di ansia e alienazione, interrotta però da rari, ma preziosissimi, barlumi di speranza.
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