21 settembre 2021

Pietro Consagra, La materia poteva non esserci – Collezione Olgiati

di

Alla Collezione Olgiati la prima retrospettiva in Svizzera dell’artista siciliano che ha fatto della frontalità della scultura un vero e proprio codice distintivo

Pietro Consagra, Collezione Olgiati, Ph. Agostino Osio

La collezione di oltre duecento opere d’arte del Novecento dei coniugi Olgiati, raccolta in uno spazio ipogeo adiacente al centro culturale LAC, è già di per sé un valido motivo per andare a Lugano, ma il viaggio diventa un imperativo categorico con la mostra retrospettiva dedicata a Pietro Consagra (1920-2005) dal titolo “La Materia poteva non esserci”, a cura di Alberto Savadori, in collaborazione con l’Archivio Consagra, promossa nell’ambito di ricerca e valorizzazione della loro collezione.
Attraverso 64 opere si ripercorre la vita di un artista dal pensiero germinante ed evolutivo, dagli anni’50 ai primi anni ’70, che ha sperimentato diverse tecniche e linguaggi dalla pittura all’architettura, passando dal gioiello, disegno, fino alla scrittura e l’arte pubblica.
Alla Collezione Olgiati si inscena uno “spazio colloquiale” direbbe Consagra, tra le sue opere e un vissuto carico di incontri e confronti; forme che includono moti di spirito di un artista- intellettuale umanista che ha posto al centro della sua ricerca l’uomo in relazione allo spazio in cui l’arte è legata a una ricerca spirituale.
Lo si coglie attraversando di sala in sala le sue opere fisicamente possenti, forgiate dal pensiero sulla responsabilità della scultura come presenza, volume per e nello spazio.
La sintesi concettuale della sua smania di inventare nuove forme artificiali è ravvisabile nella scultura in cemento armato realizzata in Sicilia, alla foce di una secca fiumara, intitolata La materia poteva non esserci (1986), che dà il titolo alla mostra a Lugano, come a ribadire la priorità del concetto, dell’idea che prima o poi diventa opera in rapporto con la comunità.

Pietro Consagra, Collezione Olgiati, Ph. Agostino Osio

Questa prima retrospettiva in Svizzera dell’artista siciliano che ha fatto della frontalità o bifrontalità della scultura astratta un codice distintivo dal 1948, in cui l’ubicazione assume un valore architettonico, ha ancora più significato perché racconta una storia di solidale amicizia tra Giancarlo e Danna Olgiati e Consagra, e non tutti sanno che lo accompagnarono lungo i pendii della sua multiforme ricerca, costellata di incontri, esperienze e scelte.
Le sculture di Consagra mettono lo spettatore a tu per tu con l’opera, in cui la frontalità attiva riflessioni sul valore della scultura come fatto concreto dai contenuti astratti.
La mostra, impaginata con eleganza, inscena un contrappunto visivo tra sculture orizzontali ed elementi verticali, non affronta soltanto il tema della frontalità, persistente nelle opere di Consagra ma apre o lo spettatore a nuove letture del suo modus operandi, dai Colloqui, una selezione delle sculture iniziate nel 1952 in acciaio, bronzo, ferro e legno bruciato degli anni’50, all’insegna della forma libera dal processo di imitazione, di mimesis, passando ai Piani sospesi (realizzati tra il 1964/65), fino a i Ferri Trasparenti (1965/66) , sculture colorate estranee alla Pop Art e più vicine alla corrente astratta di Alexander Calder, David Smith e Antony Caro.

Pietro Consagra, Collezione Olgiati, Ph. Agostino Osio

Queste e altre opere ci pongono in dialogo con lo spazio e diventano presenza per abitare un ambiente ed evocare paesaggi o meglio giardini, come il titolo di alcune sue sculture “leggere intuizioni” di forme in liberta, risolte autentici guizzi di fantasia.
Pietro Consagra come Alberto Burri ha sperimentato la fiamma ossidrica come potente mezzo espressivo di una poetica insita non nel gesto, bensì nella sua potenzialità espressiva di rivelazione di una forma libera prodotta dal fuoco e dalla mano dell’artista, strumento della mente, capace di dominarlo seguendo la fantasia e sui ritmi interiori. Alla base del processo di realizzazione delle sue opere c’è il disegno, e lo testimonia Colloquio libero (1960), uno bozzetto su carta esposto nella sala dei Colloqui, dove tra gli altri totem frontali spicca Incontro Incantato (1957) in legno bruciato maestoso per la sua imponente fisicità. È una scultura che, vista oggi, evoca gli incendi frequenti e non solo in America o in Australia, sintomo di un pianeta malato, devastato dalla scelleratezza dell’uomo.
Segno e disegno, idea e materia, arte e architettura sono in sintesi le relazioni che attua nel suo operare con materiali anche colorati per creare forme artificiali, non naturali, fantasiose create dall’uomo.
La città è tema dominante dell’artista. Scrive Consagra “Avendo perduto l’animalità, la vita spontanea, non c’è altro che la città come possibilità di riprenderci i contatti con naturalezza dentro se stessi”. La sua è una città dove abita la nostalgia di un eden di desideri, che conducono l’artista a cimentarsi in numerose esperienze architettoniche. Basta la lettura del suo libro La Città Frontale (1969) per cogliere come un oggetto costruito scevro da condizionamenti tecnici diventa uno strumento di confronto con la società, perché la città è ambiente sociale per eccellenza.

Pietro Consagra, Collezione Olgiati, Ph. Agostino Osio

La sua passione si svela con plastici curvilinei, sagome sinuose, quasi nastri in acciaio inossidabile d’impatto trasparente che danno forma alla sua Città Frontale, presentata alla Galleria dell’Ariete nel 1969 e attualmente a Lugano, e in questa sequenza tra vuoti e pieni, la linea tracciata su una parte, indica un orizzonte oltre il quale c’è un paesaggio da immaginare. Scrive Consagra: “La città è un emozione plastica della vita, una fantasia irrealizzabile, ambigua, oltre l’opera d’arte”.
Lo spettatore oscilla tra oggetti tridimensionali e concetti metafisici, dove lo sguardo inciampa in sculture d’impatto volumetrico per librarsi dentro il processo creativo di Consagra che invitano a riflettere sulle modalità del suo processo creativo. Seducono i suoi ferri colorati, raccolti in una sala, sembrano fiori sbocciati in un giardino incantato, celati da Lenzuoli (1974) dipinti con segni astratti quadrangolari che sembrano instaurare un dialogo immaginario tra scultura e immagine, in cui il colore “ scolpisce” forme liberate dal peso della materia.

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui