Frammentità, il titolo della mostra di Pino Pinelli a Milano (fino all’8 luglio), suona già come una poesia. Descrive un intero che non ce l’ha fatta a restare unito, che non è riuscito a convivere con se stesso ed è esploso in mille pezzi. Deflagrato, sparpagliato chissà dove. Pino Pinelli (Catania, 1938) racconta questa storia fin dagli anni settanta, quando – in una realtà tutta ammaliata dall’Arte Concettuale e dal Minimalismo – indaga le infinite possibilità della pittura, del colore, del rapporto con lo spazio. Dopo oltre cento mostre personali in Italia e all’estero, l’artista siciliano torna a esporre da A arte Invernizzi per celebrare un’arte che non conosce limiti.
No, non è una frase ad effetto. Pino Pinelli ha davvero superato i confini del quadro, scardinando per sempre l’idea standard di tela e di cornice. Nel 1976, con il suo celebre Rettangolo tagliato, l’artista valicò definitivamente ogni barriera, inglobando nell’opera lo spazio circostante: la parete, da mero supporto – si fece allora protagonista, attrice essenziale del dialogo tra pieno e vuoto. Da quella strada Pinelli non fece mai ritorno, ogni sua opera è tale per la continuità tra forme di colore e muro bianco, per la coesistenza vibrante tra movimento e silenzio. Mai un ripensamento, mai una tela – si può dire – tradizionale. Proprio le Pitture, esposte nei due piani della galleria, testimoniano come lo spazio giochi un ruolo attivo nei lavori di Pinelli: gli ammassi di colore formano arcipelaghi di energie che non potrebbero manifestarsi senza l’intervallo delle pareti. L’artista dà risalto alla pittura, crea corpi plastici colorati che abitano lo spazio, che si espandono fino a invaderlo. Distrutti, frammentati, ma in continuo movimento, bramosi più che mai di distinguersi.
«La pittura» – scrive Giorgio Verzotti, autore del saggio pubblicato in occasione della mostra in un volume bilingue – «[…] diventa funzione di un’indagine spaziale che dinamizza le superfici toccate dall’intervento, che costruisce percorsi, andamenti, indica direzioni, allude a margini e confini e dunque a virtuali scompaginazioni e riassestamenti ambientali». Ed ecco che, una tra tutte, Pittura G/BL VR/A (1982) accoglie i visitatori con un’enorme, coloratissima disseminazione di corpi sulla parete, mentre, al piano inferiore, Pittura 86 (1986) è formata da geometrie allungate che tracciano un curioso arco blu. Non mancano inoltre alcuni monocromi realizzati tra il 1973 e il 1975 – prima, quindi, della definitiva rottura con il supporto tradizionale – da cui già trapelano le costanti della nuova sintassi di Pinelli: la riduzione cromatica, l’attenzione per la pittura e per quella superficie che suscita un incredibile desiderio di toccare le opere, di scoprire se siano davvero rivestite di velluto, come appare.
Dopo l’antologica a Palazzo Reale che, nel 2018, ha riconfermato l’affetto di Milano per il maestro della Pittura Analitica, Pinelli collabora ancora con A arte Invernizzi per condurci attraverso una nuova strofa della sua poesia frammentata.
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