A pochi giorni dalla conclusione della bipersonale “Terreno-Ultra-Terreno”, ho avuto il piacere di intervistare i protagonisti della mostra che ha inaugurato negli spazi della galleria Studio la Linea Verticale, in occasione di Arte Fiera 2023 nell’ambito del programma Art City Bologna: l’artista cosmopolita Navid Azimi Sajadi (Tehran, 1982), il collezionista Mario Iannelli, che ha collaborato al progetto espositivo, e i galleristi.
Come scrive Antongiulio Vergine, autore del testo critico: «Nell’esaminare il corpo di “Terreno-Ultra-Terreno”, non potremmo rescindere dal considerarne, anzitutto, il quadro preliminare, rappresentato dal tentativo – espresso già dal titolo – di porre in collegamento la dimensione immanente, finita della realtà con la dimensione assoluta, infinita di ciò che, invece, risiede oltre di essa. Una sorta di estroflessione […] che interessa tanto il lavoro di Vettor Pisani, quanto quello di Navid Azimi Sajadi: per il primo, si tratta di prendere atto di possibilità alchemiche, esoteriche, mitiche; per il secondo, di interpellare territori sacri, biblici, mitologici».
Le opere di Navid Azimi Sajadi saranno esposte dalla galleria felsinea anche alla Cremona Art Fair al fianco di quelle di un altro Artista verticale: Joseph Beuys.
Potresti parlarci delle opere che hai presentato nella mostra bipersonale “Terreno-Ultra-Terreno”? Come sono nate e quali sono le intenzioni che le contraddistinguono?
Navid Azimi Sajadi «Nella galleria Studio la Linea Verticale è presente una selezione di alcuni lavori di un progetto più ampio che ho realizzato dal 2017 al 2019, la prima presentazione del progetto, infatti, si è tenuta al MACRO nel 2018. L’idea generale è di creare un pantheon contemporaneo di idoli femminili, una parata immaginaria di varie dee, un museo ermetico che si apre davanti allo spettatore come un atto carnevalesco e profano svolto in un luogo di culto che può aprire nuove prospettive ma che rimane ancorato alla storia del mondo.
Le figure sono ragazze che già conoscevo o alcune modelle che avevo precedentemente fotografato; nelle loro pose a mezza ruota contengono un particolare oggetto ibrido, in modo che ogni personaggio dia vita a contenuti e materie particolari… Questi personaggi, essendo mutati e trasformati nell’unione con gli oggetti che portano sul ventre, diventano una metafora visiva, come se fosse descritta o scolpita l’idea di ogni divinità del mondo contemporaneo.
Il lavoro si mostra come “un ponte” tra la cultura occidentale e quella orientale per mezzo di una sfilata di figure femminili contemporanee, con posture che trovano riferimenti antichi, nell’atto di partorire vere e proprie bandiere simboliche. La decifrazione è molto libera, segno che non viene presentato un codice prioritario di lettura.
I corpi nudi delle donne-ponte sono un corpus segnico che cementa diversi influssi, segno evidente che nell’attualità certi codici devono essere per forza condivisi. Alcune ragazze hanno il corpo interamente dorato, altre sono di rame e quindi fanno parte esse stesse del processo alchemico del diventare oro, altre ancora hanno una sorta di alfabeto interno fatto di talismani, scritte magiche, con un linguaggio che sembra quasi un filo spinato, simbolo del confine, altre ancora portano sulla pancia oggetti propri dei riti sciiti o yazidi, armi utilizzate nelle guerre odierne, alberi che fioriscono e serpenti, fino alla falce e martello del comunismo. L’intento è difatti rileggere da capo, nuovamente, un passato che non va abbandonato ma recuperato facendo ponte, come la dea egiziana della notte Nut, la donna-ponte che muoveva il tempo».
Che riflessione nasce dal confronto delle ricerche dei due artisti presenti in mostra?
Mario Iannelli «Vettor è stato uno dei riferimenti costanti di Navid da quando esponevano nella stessa galleria, la pH7 Art Gallery di Massimo Riposati, con cui ho avuto il piacere di collaborare dal 2006 al 2008. Entrambi condividono una caratteristica fondamentale nella loro ricerca: l’eroicità ed anti-eroicità di Vettor, fatta di compenetrazione di opposti e significati alchemici, si ritrova infatti anche nell’opera di Navid.
Nell’installazione della mostra la figura femminile dipinta da quest’ultimo, danza al centro delle opere di Vettor che sono installate secondo la pianta del suo “Teatro di Cristallo” in una perfetta fusione evidenziata nella modella nuda dello “Scorrevole”. Qui, in bilico sulle punte dei piedi, è legata ad un cappio; parallelamente nella serie di Navid “The Bridge” la figura femminile crea un arco dal cui centro nasce un teatro immaginario.
Ciò che li unisce quindi è il senso sospeso, esoterico, urgente, quello di una visione frammentata eppur simbolicamente centrale, simultaneamente distruttiva e rigenerativa, che possa tornare ad essere finalmente eroica».
Come si sposa la ricerca di Navid Azimi Sajadi e di Vettor Pisani con quella della galleria Studio la Linea Verticale?
Studio la Linea Verticale «Consideriamo entrambi “artisti verticali”, ovvero e sostanzialmente, artisti che si occupano di temi spirituali, metafisici ed ontologici.
Vettor Pisani può retrospettivamente essere considerato verticale per svariati motivi, innanzitutto il suo interesse per il rosacrocianesimo rivela, nella sfera più intima e privata, un carattere dedito allo studio e alla pratica spirituale. Le sue opere rimandano indubbiamente ad aspetti e temi verticali a partire dall’utilizzo sistematico di determinati colori, come l’oro dell’immortalità, della purezza e perfezione spirituale; il blu edenico dello spazio illimitato e dell’immaterialità e il magenta, colore ambivalente per definizione in quanto è il simbolo esoterico della coniunctio oppositorum. L’utilizzo di simboli esoterici, alchemici ed ermetici e la continua riproduzione di soggetti mitici, mistici e mitologici.
Inoltre Vettor era un grande citazionista e non a caso i suoi principali riferimenti (e colleghi), i suoi eroi da detronizzare, erano Joseph Beuys, Yves Klein e, primo fra tutti, Gino De Dominicis. Tutti e tre possono essere considerati, parimenti, artisti verticali. Osiamo dire che addirittura la morte di Vettor sia stata uno slancio di verticalità, dopotutto gli artisti verticali sono caratterizzati da un’inevitabile attrazione verso l’Infinito, il Vuoto, l’Assoluto…
Navid Azimi Sajadi porta in occidente il suo bagaglio culturale di spiritualità persiana e la congiunge con la nostra rispettando sempre una personale regola etica, l’ambivalenza, che citata precedentemente, è uno dei numerosi punti d’incontro dei due artisti. Come galleria, la rappresentiamo attraverso le due direzioni della Linea Verticale, che punta in alto tanto quanto in basso, ribaltando i significati e facendo precipitare ogni dogma così come l’artista iraniano fa precipitare i suoi serafini di feltro nero, ribaltandoli a testa in giù.
L’utilizzo dei colori rimane coerente alla sensazione di verticalità anche nel lavoro di questo giovane artista. L’eccesso di rilucente oro è usato sia nel tradizionale decoro che per la sua sostanziale significanza ed è mescolato ad altri colori con copiosa sfarzosità, ripresa dalle caleidoscopiche visioni delle moschee.
Il simbolismo esplode dai ventri delle donne-ponte della serie The Bridge, che abbiamo deciso di mostrare in galleria per la sua diretta e talvolta provocante bellezza e per la sensazione di pienezza e teatralità che la collega subito alle esuberanti carte di Pisani, anch’esse in mostra».
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