Il 5 ottobre 1582 non è mai esistito, così il 6, 7…fino al 15 di ottobre di quell’anno, data da cui formalmente si è preso a contare i giorni col cosiddetto Calendario Gregoriano, che ha regolato il precedente calendario giuliano e la durata dell’anno solare. Istituito dall’allora Papa Gregorio XIII, comportò un salto epocale, che coinvolse formalmente i paesi cattolici del mondo, recepito solo più tardi dai protestanti. La bolla papale Inter gravissimas, frutto di un lavoro di ricerca avviata nel 1575 con un’apposita commissione di giuristi, teologi, matematici e cardinali e che stabiliva quel nuovo computo convenzionale del tempo, resta un’eredità indiscutibile dell’operato del papa bolognese. E Bologna si era tenuta “nascosto”, in un certo senso, il palazzo della famiglia Boncompagni dove nacque e visse fino alla salita al soglio pontificio Ugo Boncompagni, e che ora apre – altrimenti solo per eventi privati – all’arte contemporanea, accogliendo il lavoro di uno dei nostri maestri tra i più riconosciuti del secondo Novecento, Michelangelo Pistoletto (Biella, 1933).
Inaugurata di fresco “Gregorio XIII e Michelangelo Pistoletto dal Rinascimento alla Rinascita”, organizzata dal Palazzo e la Fondazione Pistoletto Cittadellarte con l’Associazione Legati al Filo APS, si inserisce nella programmazione, nella vera e propria ripartenza di Bologna con Art City 2021 promossa dal Comune.
Il palazzo, straordinario esempio cinquecentesco di quella inconfondibile cifra bolognese del “ricco mai sfarzoso”, con i suoi affreschi e un’esemplare scala a chiocciola interna del Vignola, consente un inedito, affascinante raffronto con concetti, opere e azioni di Pistoletto, che da oltre mezzo secolo lavora col tema, qui centrale, del tempo.
Il percorso curato da Silvia Evangelisti è un distillato di opere essenziali, che letteralmente traducono l’essenza del pensiero di Pistoletto, dalla fine degli anni Cinquanta a oggi, dialoganti con la storia di questa preziosa, simbolica eredità Boncompagni. Meglio detto, con le parole della curatrice, opere che “abitano” nella grande Sala delle udienze papali, nelle tre sale attigue e nella loggia, per un tutt’uno con le architetture e l’apparato pittorico e ornamentale.
Mostra non solo site specific ma anche possiamo dire ‘specific timing’, vista la vitalità con la quale aderisce al periodo umano che stiamo affrontando, proponente una riflessione diacronica sul rapporto tra potere, religioni e società, oltre che attorno al tema dell’innovazione, del cambiamento.
Una mostra che appaga visivamente e che illumina su la vicenda umana del Boncompagni e il suo potere temporale e consente di ripercorre le decennali concettualizzazioni di Pistoletto, attraverso i nuclei della sua produzione. Installazioni, da Porta – Segno Arte, 1976 – 1997 a Il Terzo Paradiso, nella versione con panni smessi del 2017, tra le altre, e fotografie, dalla serie La conferenza e Raggi di persone 1975, incastonati in ambienti-gioiello. Con interventi inediti, volutamente modulati per l’occasione della mostra, come Alberi – Divisione e moltiplicazione dello specchio, progetto che il Maestro porta avanti dal 1973.
Nel guardare alla carriera di Pistoletto, ai contributi considerati basilari per la nascita dell’Arte Povera, si ricordi che dai primi anni Sessanta con i Quadri Specchianti avvia una ricerca sulla “riflessione” nello specchio, che introduce come cardine nella sua ricerca, e quella del contemporaneo tout court, la dimensione temporale contingente: svilupperà “l’idea di tutte le possibilità che esistono dall’uno all’infinito nella moltiplicazione speculare”, nell’atto stesso del ‘reflectere’. Superfici che abbandonano definitivamente la bi-dimensione per la quadri-dimensione e che a tutt’oggi nei suoi recentissimi lavori specchianti si confermano di un’attualità struggente. La linea del tempo disegnata da Pistoletto ha la forma del segno matematico dell’infinito, forzata e riconfigurata in un terzo cerchio, un “vuoto disponibile” a integrare natura/cultura, io/tu, naturale/artificiale: “l’opera planetaria di cui noi tutti siamo gli autori”.
Lo abbiamo raggiunto nella sua visita a Bologna per condividere alcune considerazioni.
Possiamo immaginare quanto debba essere stato determinante in quel tardo 1500 il passaggio al calendario gregoriano. Le sue opere storiche e inedite, lavorando col tempo, si prestano a una lettura ulteriore in questo biennio in cui proprio del tempo, personale e sociale, abbiamo una percezione abbondantemente rivoluzionata.
«Questo papa illuminato ha corretto il tempo convenzionale, portandolo a quel modulo, a quel sistema, così avanzato che è stato adottato nel mondo, un’operazione scientifica che dà anche valore all’Italia e a Bologna in particolare. È importante che il mio lavoro sia presente in questo luogo, in questa casa. Nel mio lavoro già degli anni Sessanta la fenomenologia del tempo è il protagonista del quadro. Nell’opera specchiante vedi proprio il presente che cambia continuamente, il tempo nella sua estensione minima, che è il presente, e massima che è nello spazio totale che si rispecchia nell’opera.
È un ribaltamento verso una visione futura che attraverso l’arte si porta a una concezione dell’uso del tempo che dobbiamo d’ora in poi considerare nella prospettiva, così come è stato pensato nella prospettiva del Cinquecento, per oggi averne una verso il futuro».
Laddove percepiamo un senso di fine, il suo lavoro risponde forzando l’infinito con la formula trinamica, la formula della creazione.
«1 e 1 fa 3. Sta a dire che nell’unione al centro di due elementi avviene qualcosa di nuovo che prima non c’era, l’unione di elementi che se continuassero a rimanere inerti all’esterno non succederebbe nulla, elementi contrastanti o diversi si uniscono al centro e il centro è sempre un vuoto disponibile all’incontro.
Questa pandemia è stata, è come un grande vuoto che si è creato nel mondo intero dove tutto si è bloccato, tutti gli elementi hanno smesso di unirsi, di incontrarsi e di creare ma proprio anche dal punto di vista politico, economico, sociale. Quindi, adesso, si tratta di vedere come riusciremo a riunire gli elementi divisi, resi immobili. Il grande vuoto centrale di questo periodo dovrà essere riempito in maniera diversa oppure ricadremo negli stessi errori del tempo passato».
Dal Rinascimento alla Rinascita appunto…
«Io parlo di rigenerazione della società, di un terzo stadio dell’umanità. Si riparte verso un nuovo modo di intendere che non è più quello della fuga dalla realtà naturale ma una ricucitura tra artificio e realtà naturale».
Ha ancora fiducia in una Nuova Umanità? Quella di cui parlava già oltre 20 anni fa avviando il progetto Terzo Paradiso?
«Non solo ho fiducia, sono certo che l’umanità ha fatto tutto quello che ha fatto per arrivare al meglio, adesso dobbiamo fare il grande passo verso un meglio che non c’è mai stato.
L’importante secondo me è arrivare non solo a pacificarsi, pensando che ci sarà un terzo paradiso quando saremo morti, ma dobbiamo crearlo adesso nella nostra condizione, deve essere fatto da noi, qui, per avere il massimo risultato nella meravigliosa cosa di esistere».
Le opere inedite di questa mostra sono state pensate, scelte e realizzate con le dovute attenzioni e modifiche in relazione al luogo, al Palazzo Boncompagni.
«Attraverso la convenzione dell’immagine possiamo ripercorrere il tempo a ritroso, spingendoci molto nel passato.
Siamo un DNA che viene da lontano. Attivandoci, aggiungiamo caratteristiche nuove al DNA, ma tutto quello che c’è nel passato ce l’abbiamo dentro alla nostra costituzione, siamo quel passato lì, tutto completo».
Tornando alla memoria di Papa Gregorio, quale rapporto ha intrattenuto con questa figura del cambiamento? L’innovazione nel computo del tempo la attuò l’uomo prima ancora che il Papa…
«Gregorio XIII pur essendo un uomo di grande potere sia politico che religioso ebbe una capacità di sviluppare un’intelligenza più pratica che infatti lo ha portato alla scienza, alla tecnica della matematica, inoltre dando spazio alle donne, al femminile e alla natura, una persona che pur dall’alto del suo potere ha avuto una visione molto molto allargata rispetto a quello che è il processo di sviluppo della società.
E l’arte non ha mai smesso di partecipare alle avventure dell’umanità, accompagnando in ogni passaggio l’evoluzione della società».
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