La mostra “Préhistoire”, visitabile fino al 16 settembre 2019, porta a credere che il Centre Pompidou abbia presentato un progetto sull’arte primitiva ma il sottotitolo dell’esposizione, “une énigme moderne” ci fa pensare a qualcos’altro. Una volta entrati nelle sale del sesto piano è evidente fin da subito l’intento dei curatori: illustrare la relazione feconda tra la preistoria e l’arte moderna.
Nello stesso manifesto pubblicitario, il sasso dalla punta gialla di Ami Drach e Dov Ganchrow non fa parte di una lancia preistorica ma è un’opera Contemporary Flint Tool, una pietra focaia del 2011. Statuette, pitture e grandi vetrate dipinte sono disposte in un percorso molto lungo, costellato di celebri firme come Max Ernst, Yves Klein, Paul Cezanne, Giuseppe Penone, Jean Dubuffet o Wim Wenders. Reperti del paleolitico o del neolitico come la Venere di Lespugue (di 25mila anni fa!) o il Mammut de La Madeleine dialogano con le opere moderne che dettano la cronologia della visita, dai paesaggi aridi e rocciosi di Cezanne alla statuetta dalle forme sinuose di Picasso degli anni 30 (Buste de femme, Boisgeloup del Musée national Picasso di Parigi), che ricorda la sopracitata Venere di Lespugue o l’enorme Peinture di Miró dal Philadelphia Museum of Art. La relazione tra Miró e la preistoria proviene da un’esperienza di vita, la visita alla grotta di Altamira che lo sconvolgerà al punto da definirla come un «viaggio nelle origini nella prima opera d’arte murale al mondo».
Ai musei di beaux-arts più famosi al mondo si sono aggiunti prestatori come il Musée national d’Histoire naturelle e il Musée de l’Homme di Parigi. “Préhistoire” offre più che altro un’esperienza visiva forte per via del contrasto di datazione, supporti e autori tra gli oggetti che mai avremmo pensato di vedere al Centre Pompidou, non di certo un museo di civiltà antiche o di antropologia.
Si esce dalla mostra con un’immagine della preistoria viva, fonte di ispirazione consapevole o non per le sperimentazioni artistiche che un Dubuffet farà secoli e secoli dopo.
Appena entrata in una delle ultime sale mi sono sorpresa nel chiedermi se Lo Snake Circle di Richard Long fosse un antico sito iniziatico preistorico o un’opera della corrente Land Art degli anni ‘90. Le sue lastre di pietra disposte di taglio creano un cerchio di 4 metri che occupa quasi tutto lo spazio disponibile, ricreando un’atmosfera molto magica.
Un’altra emozione è stata possibile grazie al finanziamento della Fondazione archeologica Pierre Mercier, per l’opera site-specific del nostro Claudio Parmiggiani, la Cripta.
Una stanza buia a cui si accede abbassandosi in un’apertura tra i muri della mostra, ha tante impronte di mani in pittura acrilica. Se si ha l’impressione di essere degli archeologhi alla scoperta di un’arte recente, non è facile afferrare il discorso scientifico dei curatori, che vorrebbe spiegare la formazione dell’idea di preistoria a partire dal 1859. Non tutti i visitatori riescono a rendersi conto della relazione tra la divulgazione delle scoperte archeologiche e l’effettiva conoscenza di queste da parte degli artisti di oggi, nel momento della creazione artistica. Se l’aggettivo “preistorico” è stato inventato solo nel 1830 da un archeologo scandinavo, le scoperte si propagarono lentamente in Europa e le notizie si diffusero anche attraverso le esposizioni universali che ricostruiscono scene di vita preistorica. All’inizio del percorso, una vetrina ricca di riviste come les Cahiers d’art o Documents sottolinea la consapevolezza della potenza estetica e plastica dei reperti archeologici come se fossero delle opere ante-litteram.
La vetrina è certamente il cuore della mostra, che ne chiarisce tutto il propos. Disporre in più sale le riviste e la documentazione scientifica avrebbe chiarito la posizione dei curatori e trasmesso una lettura “archeologica” ancora più forte delle opere contemporanee. Il Centre Pompidou ha comunque voluto un giusto compromesso senza annoiare troppo il suo pubblico con una esposizione prettamente scientifica, una scelta che avrebbe rischiato di non attirare il pubblico giovanissimo che popola oggi la mostra. Meglio degli esperti d’arte, sono forse i bambini ad apprezzare di più e a essere più adatti a trovare chiavi di lettura in comune tra strumenti paleolitici e opere astratte.
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