Thybris. Il fiume eterno di Roberto Ghezzi è un progetto a cura di Cristian Porretta e Davide Silvioli, con l’intervento della project manager Linda Simioli. Promosso dalla galleria d’arte FABER in partenariato scientifico con il Dipartimento di Ingegneria Civile, Edile e Ambientale dell’Università Sapienza di Roma, ARPA Lazio, realizzato con la collaborazione de Il Giornale dell’Ambiente e il supporto di Phoresta ETS, il progetto di Ghezzi, facente parte della serie delle Naturografie, stavolta interviene sul fiume Tevere che geograficamente nasce sull’Appennino Tosco Emiliano, il Monte Fumaiolo a 1.407 s.l.m. e si biforca per sfociare nel Tirreno: un’estensione di più di 400 chilometri che Ghezzi ha esplorato in lungo e largo.
Il Tevere, però, rievoca anche il mitico fiume che ha partorito il destino di Roma, una storia che non cessa di suggerire interesse per tutti gli studiosi e per gli artisti e che oggi, malauguratamente, racconta qualcosa di molto diverso. Negli ultimi tempi, non a caso, il fiume viene interessato da operazioni che mettono in luce il disastro naturale, ecologico ed ambientale cui stiamo sempre più assistendo.
Nel caso di Ghezzi, infatti, fornisce non solo una documentazione scientifica, un check sulle sue condizioni di “salute” dal momento che, rispetto a noi, il dramma ambientale è qualcosa che gli antichi romani non conoscevano ma concede anche l’occasione di realizzare tutta una serie di lavori altamente significativi e artisticamente impattanti. Viceversa, Ghezzi con le sue opere magnetiche ha saputo cogliere tutti gli umori del fiume nel corso di un’esplorazione durata più di un anno con esiti che provano il cattivo stato di salute del biondo Tevere.
Quali sono i risultati scientifici che la Sapienza e le istituzioni coinvolte hanno messo a punto?
«Le indagini del dipartimento di ingegneria civile, edile e ambientale dell’Università La Sapienza di Roma hanno avuto ad oggetto la qualità delle acque del Tevere nell’area dove abbiamo immerso le tele per creare naturografie.
I risultati sono stati vari e complessi. Si possono leggere direttamente nei siti web di Acea e Arpa; è stata ad esempio rilevata la presenza di inquinanti di vario tipo o sostanze farmaceutiche e droghe, come metanfetamine, lincomicine, ecc.
L’agenzia regionale di protezione ambientale del Lazio (ARPA) ha invece svolto analisi direttamente sui tessuti, al momento del prelievo, per valutare la presenza di indicatori biologici come macroinvertebrati dai quali poter desumere lo stato qualitativo dell’ambiente fluviale circostante. Quindi opere d’arte ma anche, allo stesso tempo, matrici di raccolta di dati.
Nel complesso lo stato di salute del Tevere è migliorato negli ultimi 10 anni, ma, soprattutto a causa di alcuni affluenti molto inquinati, come l’Aniene, molto lavoro resta ancora da fare».
E che risvolto ha avuto il tuo lavoro sulle indagini?
«Le mie installazioni e le opere che ne sono conseguite sono state l’occasione per creare un fulcro di attenzione attorno ad un fiume e in particolare a un’area urbana del Tevere, che proprio in virtù di un progetto artistico, Thybris appunto, è stato analizzato e monitorato e quindi messo in qualche modo sotto i riflettori, cosa di cui, credo, ci sia sempre bisogno se si tratta di un ambiente naturale in difficoltà .
L’arte si è fatta quindi motore per un’operazione più estesa, che ha coinvolto vari ricercatori e personalità della Capitale, dalla scienza alla didattica per le scuole fino alla divulgazione, sia sul campo che durante gli approfondimenti pubblici, unendo, come spesso avviene quando si parla di naturografie, varie discipline e campi della cultura sotto un’unica opera e per un unico intento, quello di conoscere, far conoscere e, per chi già la conoscesse, fa riconoscere, la bellezza e la fragilità di uno dei fiumi più illustri del nostro bel paese».
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