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Premio Paul Thorel: i tre artisti vincitori in residenza a Napoli
Arte contemporanea
di redazione
Il collettivo Clusterduck, Jim C. Nedd e Lina Pallotta sono i vincitori della prima edizione del Premio Paul Thorel, promosso dall’omonima Fondazione per riattivare gli spazi e gli strumenti di lavoro dell’artista inglese, scomparso a Napoli nel 2020. Assegnato con cadenza annuale, il premio prevede una residenza di un mese nello studio napoletano di Thorel, per la produzione di un progetto artistico inedito, commissionato dalla Fondazione. Al termine delle residenze, la Fondazione curerà una mostra di restituzione dei progetti, che si svolgerà nel 2024, in collaborazione con le Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo, partner del Premio. La prima residenza inizierà il 20 marzo 2023 e coinvolgerà Clusterduck, collettivo di cinque artisti italo-tedeschi nati negli anni ’80 e attualmente tra Firenze, Milano e Berlino.
«Il Premio Paul Thorel è il primo passo verso un’azione a più ampio spettro sul territorio dell’immagine che già si è avvalso del contributo di numerosi esperti di settore, tra cui il comitato di selezione che ci ha introdotto al lavoro dei tre artisti vincitori», ha spiegato a exibart il presidente della Fondazione Paul Thorel, Guido Costa, che ha anticipato i prossimi sviluppi: «Per il futuro intendiamo attivare ulteriori strumenti, come residenze, tavole rotonde, grant e progetti editoriali focalizzati al sostegno della creatività contemporanea, ci stiamo già lavorando».
La sede napoletana della Fondazione Paul Thorel
La Fondazione Paul Thorel fu istituita a Napoli nel 2014 per volontà dell’artista e, nei suoi primi anni di attività, si è occupata dell’organizzazione dei suoi archivi, composti da 1600 opere di Paul Thorel e 100 opere di artisti italiani e internazionali della sua collezione di arte antica, moderna e contemporanea. Dalla morte dell’artista, nel maggio 2020, la Fondazione è impegnata a veicolare il nome e l’eredità di Paul Thorel nel campo dell’immagine digitale in Italia e all’estero.
Sede, archivio e studio della Fondazione Paul Thorel si trovano in due stabili ottocenteschi a Napoli, nel quartiere di Chiaia. La sede è in via Fiorelli 5, nella casa un tempo abitata dall’artista, mentre l’archivio e lo studio sono nello stesso isolato, in via Imbriani 48, nell’antico Palazzo e Parco Bivona. Questi spazi sono stati ristrutturati da Thorel a partire dal 1994, anno in cui decise di stabilirsi definitivamente nella città partenopea, e oggi sono adibiti a foresteria, laboratorio di produzione e archivio opere.
Proprietà del ramo napoletano della famiglia dell’artista da più generazioni, gli indirizzi di via Fiorelli e via Imbriani furono subito immaginati da Thorel come una struttura articolata, divisi tra abitazione e un centro di produzione dotato di sala di posa, magazzino ed equipaggiato con tecnologiche avanzate, capaci di garantire l’assoluta indipendenza in fase di progetto e realizzazione delle opere d’arte. La Fondazione ha mantenuto intatta tale architettura, mettendola a disposizione della creatività contemporanea.
Un approccio variegato
Le proposte dei tre vincitori sono state selezionate tra le 12 candidature presentate da un comitato di selezione formato da Caterina Avataneo, curatrice indipendente, Lorenzo Gigotti, co-founder di NERO, Elisa Medde, editor in chief di FOAM Magazine, e Valentina Tanni, curatrice e docente. La giuria che ha selezionato i tre vincitori era composta dai membri del comitato di selezione, affiancati da Luigi Fassi, direttore di Artissima, Antonio Carloni, vice direttore delle Gallerie d’Italia a Torino, e Sara Dolfi Agostini, curatrice della Fondazione Paul Thorel. La giuria era inoltre presieduta da Guido Costa.
«L’approccio creativo alla produzione di immagini dei tre artisti vincitori è estremamente diverso, variegato ed esprime le potenzialità di un’istituzione che si propone di fare ricerca sul medium fotografico oggi, sulle orme di Paul Thorel», ha dichiarato Costa. «Dalla riflessione su nuove tecnologie, metodi di appropriazione e autorialità collettiva di Clusterduck, si passa alla rappresentazione del corpo nella sua dimensione performativa – individuale e sociale – negli scatti di Jim C. Nedd, per concludere con la testimonianza fotografica dell’alleanza poetica e militante di Lina Pallotta con la comunità transessuale napoletana», ha continuato il Presidente della Fondazione, evidenziando come il lavoro degli artisti in residenza non solo rifletterà inevitabilmente il rapporto con la città di Napoli ma riattiverà pienamente anche le possibilità dello studio di Paul Thorel.
Premio Paul Thorel: gli artisti vincitori
«Clusterduck è un collettivo artistico interdisciplinare che lavora al crocevia tra ricerca, design e transmedialità, attento alle subculture, ai movimenti estetici e alle implicazioni politiche generati dalla rete», si legge nelle motivazioni della giuria. «Alla base della ricerca e della produzione artistica di Clusterduck c’è la ridefinizione totale dello statuto dell’immagine, del suo valore simbolico e del suo nuovo potenziale narrativo, e di come essa viene generata, presentata, distribuita, fruita, acquisita e valorizzata alla luce dell’adozione di massa delle tecnologie della rete».
Recentemente il collettivo ha curato la mostra online “#MEMEPROPAGANDA”, ospitata dalla Greencube Gallery, presentata in vari festival in Europa. Attualmente sta sviluppando “Meme Manifesto”, una raccolta fisica di meme stampati e un progetto che mira a mostrare quanto in profondità può andare il web.
Fondatore del gruppo sperimentale Primitive Art insieme a Matteo Pit, Jim C. Nedd, nato a Verona nel 1991, è fotografo e regista in progetti pubblicitari ed editoriali e fa parte del Toilet Paper Collective. Il suo lavoro è stato esposto in sedi istituzionali e private internazionali, come la Cinemateca Distrital di Bogotà, l’Hamburger Bahnhof e la galleria Sandy Brown di Berlino, la Biennale di Liverpool. Dal 2019 è un collaboratore dell’UNICEF e ha realizzato vari progetti di reportage in Sicilia, a Beirut e al confine con la Siria.
Secondo il Comitato di Selezione, «Le sue fotografie sono in grado di creare ponti fra scale apparentemente lontane, facendo coesistere geografie diverse, folle estatiche in festa ed episodi di vita personale, così come realtà documentata e immaginata. Cultura popolare e storie orali, tramandate ma non attestate, spesso diventano il filtro attraverso cui proporre uno sguardo critico sulla realtà, ed in particolare sulla rappresentazione del corpo».
Fotografa e docente, formatasi all’International Center of Photography di New York, Lina Pallotta ha pubblicato per varie riviste nazionali e internazionali. Numerose le mostre personali e collettive, in Europa e America, tra le quali al Queens Museum of Art di New York e a L’Atelier de Visu di Marsiglia. Ha ricevuto il premio The Catalogue Project 1998 della New York Foundation for the Arts.
«Lina Pallotta è un’autrice che utilizza la fotografia per raccontare e dare visibilità a storie ed esistenze di soggetti marginalizzati, discriminati e esclusi dalla società e dal racconto dei media generalisti», spiegano dalla giuria. «Il suo sguardo si è soffermato principalmente sulla vita di transessuali/transgender, donne lavoratrici, poeti e artisti underground attraverso il mezzo fotografico come strumento rivelatorio e emancipatorio allo stesso tempo. Fuor di retorica, potremmo dire che il suo è uno sguardo “coinvolto” e “militante”»