Prima del tuono, dopo il buio. È uno spazio temporale, figurativo, di certo poetico, quello narrato da BUILDING, una mostra che racchiude in 50 opere l’arte onirica di Leiko Ikemura. Un percorso in punta di piedi, fatto di tinte acquerello e linee delicate, per poi sterzare senza preavviso verso fiamme e inspiegabili buchi neri – quasi a ricordarci che, no, mai nulla resta sempre uguale. Prima del tuono, dopo il buio. L’attimo nel mezzo resta innominato ed esiste solo per evocazione.
Leiko Ikemura si racconta attraverso 4 piani della galleria BUILDING e spazia dagli acquerelli alla pittura alla fotografia, passando per sculture in ceramica, terracotta, bronzo e – da poco – anche in vetro. E così i dipinti Before Thunder (2014-2017) e After Dark (2014-2017), all’inizio del percorso, introducono su larga scala quelle atmosfere rarefatte che popolano i lavori della pittrice. Le figure, distese in primo piano, sono anime immerse nel niente: avvolte dal colore, si perdono di continuo nello spazio, nel buio dello sfondo, e ci domandiamo se quei corpi riposino sereni, abbandonati per un istante, o se la loro immobilità sia una condizione eterna.
Proprio come le finestre del suo atelier di Berlino, tutte diverse e create secondo precise ispirazioni, l’arte di Leiko Ikemura si declina in infinite sfaccettature che coesistono e dialogano imperterrite tra loro. «Trovare una formulazione più decisa, un tratto più forte e riconoscibile potrebbe essere promettente», rivela al curatore della mostra Frank Boehm in un’intervista. «Ma non è il mio genere. Non dobbiamo smettere di cercare, dobbiamo rimanere curiosi. Voglio instaurare delle connessioni tra piani temporali diversi e generi diversi».
Ed ecco che Sleeping Figure in Red (1997-2012) e Lying in Yellow Dress (1997-2008), due figure di donne in bronzo, sognanti, fragili – e tradizionali, anche, in riferimento a una lunga serie di dormienti della storia, dalla Grecia a Tiziano, fino a De Chirico, Picasso e De Lempicka – sembrano riguardare ben poco i paesaggi cupi incontrati poco prima, nella stessa sala. E così anche il vortice di colore di O.T./Untitled (1883) e i disegni degli anni ‘80 esposti al piano terra – primo pensiero distratto: sono nati dalla stessa mano? Eppure un filo rosso c’è, un leitmotiv si ripete e si avverte, costante, in tutti i lavori di Ikemura: è quel mistero di fondo, quell’atmosfera sospesa che torna in oltre 40 anni di ricerche.
Primo piano, una raccolta di sculture si staglia su uno sfondo rosa pastello, forse echi di teste umane, forse creature fantastiche senza nome. C’è sempre un rimando a, un ricordo di, mai un’assoluta certezza in quei corpi sparsi per le sale. Hanno nomi come Affenbaby (1995-2018), Sitting (1995), Turmwurm (1992-2019), c’è anche Light Face (2021) in vetro di Murano colato, e non possiamo fare altro che scorgere qualche dettaglio in loro, senza riuscire a metterlo a fuoco. Sono paesaggi dell’anima, proiezioni, attimi cristallizzati per sempre nel pieno della loro rapidissima evoluzione – prima del tuono, dopo il buio, sì. Inafferrabili e muti, si rivelano soltanto per analogia.
Secondo piano: una sfilata di disegni, con quegli occhi senza sguardo che ci fissano dalle pareti e i Mexican Afterworld che raccontano, in bianco e nero, futuri prossimi e scenari lontani. Ci sono rami intrecciati, gatti (o topi?), civette e sagome di palme, in quei carboncini; e poi ancora montagne umanoidi e uno spettro con un cappello bicorno alla Napoleone – in bilico tra una allucinazione inquietante e il sogno divertito di un bambino. Quale storia vogliono rappresentare, stavolta? Nessuna risposta. Ma abbiamo già creato la nostra, attivata da quel fiume in piena di suggestioni. Proseguiamo.
Uno sguardo a un poetico Tree Love (2011) fuori dalla finestra, un’altra rampa di scale e si arriva dritti ai dipinti più recenti, lingue di sabbia e di fuoco che hanno nome Moon Shine (2020), Red Light (2020), New Horizon (2019), A Bit of Blue (2019). Per finire, un’altra testa sormontata da un bosco, Mountain Lake (2017), e da lì si torna daccapo ai quesiti di partenza: sta sognando, quel volto isolato? È in ascolto? Di che cosa? E da dove arriva? «Concepisco l’intera mostra, gli spazi di BUILDING, come uno sviluppo, un movimento circolare, una spirale», prosegue l’artista nella sua conversazione con il curatore. E poi ancora, verso la fine: «[Minaccia e sensibilità] sono temi sempre presenti in modo latente, non in alternativa alla bellezza, ma insieme ad essa. La distruzione è parte della nostra storia e della nostra vita, proprio come la creazione».
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