Una collettiva sui luoghi del colonialismo italiano e sull’eredità lasciata dal suo apparato filosofico, estetico e iconografico, tra “Bellezza e Terrore”, attraverso le riletture di artisti come Rossella Biscotti, Sarah Abdu Bushra & Dawit Seto, Alessandra Cianelli, Leone Contini, DAAR – Sandi Hilal and Alessandro Petti, Binta Diaw, Theo Eshetu, Délio Jasse, Giulia Piscitelli e Justin Randolph Thompson. Una personale del giovane artista francese Clement Cogitore sull’incredibile storia vera dell’Isola Ferdinandea, per riscoprire la vitalità tutta contemporanea della ricerca d’archivio. E poi, un omaggio al grande e compianto maestro Armando De Stefano, con 80 opere realizzate tra il 2012 e il 2020, poco prima della scomparsa, avvenuta nel marzo 2021, a 94 anni, a testimonianza di una creatività vivacemente attuale. E, last but not least, l’antologica su Lawrence Carroll, a fare il punto sulla rigorosa ricerca pittorica di una grande personalità dell’arte del secondo Novecento, rimasta sempre fedele alla sua linea.
Insomma, la contemporaneità più urgente ed emergente attraversa come un caldo vento estivo tutto il Madre di Napoli, dal livello strada fino al terzo e ultimo piano del palazzo di via Settembrini, dal quale si riescono a vedere anche rapidi scorci di mare, ampliando lo sguardo alle proposte e alle suggestioni internazionali ma senza dimenticare le esperienze legate al territorio. A delineare una panoramica sul momento e sulle sfide dell’immediato futuro, è Angela Tecce, presidente della Fondazione Donnaregina per le Arti Contemporanee del Museo Madre, che abbiamo raggiunto per questa intervista.
Dopo il difficile periodo di lockdown, il museo sembra essere ripartito a pieno ritmo, con quattro mostre in esposizione e una serie di progetti in cantiere per i prossimi mesi. In che direzione intende spingersi?
«In questo momento siamo felici di poter garantire, ai cittadini e ai tanti turisti, un’offerta polifonica e di alta qualità. Dopo il lockdown, riattivare tutto il sistema e mettere a punto un programma nutrito è stato un grande sforzo ma, alla fine, con quattro mostre attualmente diffuse tra tutti gli spazi espositivi del museo, credo si possa dire che l’obiettivo è stato raggiunto. Nei prossimi mesi continueremo a lavorare per mantenere il livello di questa programmazione.
Posso già anticipare che, subito dopo l’estate, a ottobre, sono in calendario altre due mostre di grande interesse, incentrate su due personalità di spicco: la catalana Fina Miralles, artista storicizzata nell’ambito del Concettuale di matrice femminista, in collaborazione con il MACBA di Barcellona, e l’italiana Bruna Esposito, la cui ricerca, già in larga parte riconosciuta e approfondita a livello internazionale, non può mancare nella programmazione del Madre.
Inoltre, a fine anno, abbiamo già annunciato la retrospettiva, curata dalla direttrice artistica Kathryn Weir, dedicata a Jimmie Durham, che trovo particolarmente significativa nella conferma della nostra vocazione. Figura cardine della ricerca artistica contemporanea, Durham ha scelto Napoli come sua seconda casa e qui ha realizzato opere di grande rilevanza. Dunque, come unico museo d’arte contemporanea di Napoli, della Campania e del Sud Italia, il Madre, da un lato, deve rispondere a esigenze espositive e progettuali aggiornate alle istanze internazionali del contemporaneo, dall’altro, non può che farsi carico dell’attività di documentazione delle testimonianze storiche e di rilevamento delle esperienze tuttora attive che attraversano il territorio.
Spero, quindi, che la programmazione possa sempre rispettare questa attitudine, tra documentazione, ricerca e sperimentazione, una molteplicità che rappresenta una delle direzioni in cui dovremo muoverci».
A proposito delle testimonianze storiche a cui fa riferimento, nel 2019 il Madre dedicò un’ampia mostra all’attività di Marcello Rumma, mentre è di poche settimane fa la notizia della donazione della Collezione Lia e Marcello Rumma al Museo e Real Bosco di Capodimonte. Non sono mancate alcune discussioni a livello locale, riassumibili nella domanda, che le giro non solo come Presidente della Fondazione Donnaregina ma anche avendo diretta conoscenza delle vicende chiave delle dinamiche di avvio e ampliamento delle collezioni contemporanee nei musei napoletani: perché non al Madre?
«Fondato nel 2004, il Madre nacque nel contesto dei grandi progetti site specific realizzati a Piazza Plebiscito. La struttura del museo, che è situato nell’antico Palazzo Donnaregina di via Settembrini, nel cuore del centro storico di Napoli, presenta tre livelli espositivi, dedicati a una sceltissima selezione di opere realizzate appositamente per il Madre, come quelle di Anish Kapoor, Luciano Fabro, Mimmo Paladino e Rebecca Horn, solo per citare alcuni autori. Lo spazio disponibile per esporre la collezione permanente è sempre stato insufficiente, considerando anche la necessità di rispondere alle altre esigenze museali di cui ho già parlato.
Posso però anticipare che è nelle intenzioni del Presidente della Regione, Vincenzo De Luca, e dei suoi più stretti collaboratori, trovare soluzioni opportune per ampliare finalmente le possibilità espositive del Madre. In questo senso stiamo già preparando il campo attraverso una campagna di acquisizioni che, negli ultimi due anni, abbiamo potuto portare avanti anche “grazie” ai risparmi dovuti al Covid e alle chiusure forzate.
Anche il Museo di Capodimonte, dove io ho lavorato per tanti anni, ha una lunga vocazione alla raccolta delle testimonianze della contemporaneità, dai Borbone e i Savoia fino ad arrivare ai giorni nostri. Nel 1978, il programma d’arte contemporanea fu inaugurato dal Grande Cretto Nero di Alberto Burri, proseguendo con le importanti mostre degli anni ’80, confluite appunto nella collezione permanente del museo, il cui catalogo, pubblicato nel 2002, ho curato.
Lodevole è l’intenzione del Direttore Sylvain Bellenger e di Lia Rumma di proseguire lungo questa tradizione, alla quale Capodimonte può rispondere anche grazie alla disponibilità di spazi adeguati, come appunto la Palazzina dei Principi che, una volta recuperata alla fruizione, al termine dei lavori di restauro, sarà il luogo adatto per ospitare una collezione tanto di eccelsa importanza per le opere e gli artisti coinvolti, quanto storicamente e idealmente connotata come un corpus coerente e riferito a un determinato periodo, come testimoniato d’altra parte anche dalla mostra che si tenne al Madre, dedicata proprio all’attività degli anni ’60 di Marcello Rumma.
Con questo importante tassello, si garantirà alla città un’occasione di arricchimento del proprio patrimonio culturale. La sfida che noi intendiamo raccogliere e rilanciare è quella di attivare un dialogo propositivo, a partire dalla base condivisa della contemporaneità».
Parlando di raccolte e acquisizioni, tra gli obiettivi statutari del Madre, come dei musei pubblici, figura anche l’ampliamento della collezione permanente. Quali strumenti e strategie possono essere usati da un museo e in che modo, nello specifico, il Madre porterà avanti questo compito?
«Mi fa piacere specificare meglio questo argomento. Attivando sinergie con collezionisti, artisti e altri interpreti del sistema dell’arte, stiamo acquisendo e continueremo ad acquisire opere rappresentative dei vari linguaggi della contemporaneità, per offrire al pubblico eterogeneo che frequenta il museo, tanto internazionale quanto cittadino, uno spaccato sulle pratiche artistiche più significative del nostro tempo».
Abbiamo visto come a Napoli il fenomeno del dialogo tra musei e gallerie sia anche la conseguenza di una persistente tradizione di apertura dell’istituzione museale alle “varie” contemporaneità. In che modo un museo con caratteristiche peculiari come quelle del Madre può entrare in contatto con i linguaggi, con le energie, con le emergenze e le urgenze dell’attualità?
«Ritengo che le direzioni in cui può e deve muoversi un museo di arte contemporanea siano tante, proprio perché non esistono discontinuità tra le discipline e tra i linguaggi. Oltre alla conservazione, alla documentazione e all’archiviazione, un museo contemporaneo deve ottemperare anche ad altre esigenze, come quelle della ricerca e della didattica. Lo scopo è quindi incrementare, quanto più possibile, anche altre tipologie di progettualità che riescano a mettere in contatto le varie anime del museo».
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