Nell’architettura tardo Ottocentesca dello Studio Sales di Norberto Ruggeri, in una luce avvolgente e fastosa che congiunge e dilata passato e presente nell’atmosfera del Grand Tour, la mostra “Quadreria” a cura di Valentina Ciarallo, presenta l’opera degli artisti Riccardo Beretta, Silvia Celeste Calcagno, Stanisalo Di Giugno, Vincenzo Simone, con lo sguardo rivolto alle antiche quadrerie seicentesche ridestate nell’attorniato godimento onnivoro della visione d’insieme.
L’ambiente espositivo rievoca la pratica collezionistica e lo spazio culturale in cui si articolavano gli allestimenti delle antiche quadrerie in rapporto alla dimora, alle spiccate propensioni del collezionista, alla sua immagine e al suo prestigio.
Le opere, in salti cromatici e passaggi compositivi in sequenze parietali successive, danno vita ad una quadreria contemporanea che unisce raffinate e storiche tecniche artistiche, elaborate in un approccio sperimentale, nella cura e nella tenace sapienza di un fare antico.
Nei linguaggi della pittura, della ceramica e del ricamo, gli artisti compongono le loro poetiche intime, legate al tempo e alla materia, indagano e formalizzano la dimensione fisica dello sguardo, orientato in una bidimensionalitĂ che racchiude profonditĂ e rilievi plastici.
Luoghi fisici e del se’, piccole vedute e nature morte, texture di un frottage pittorico che immette una percezione tattile in quella visiva, si inoltrano in una mappa cittadina sovrapposta da cromie accese e paesaggi, nelle trame e negli orditi ricamati della psiche, nell’intimità del mondo degli oggetti re-immaginati e percorsi nei dettagli di un’osservazione curiosa e minuziosa.
Nel lavoro inedito e site-specific Cartoline 2.0 di Silvia Celeste Calcagno, scorci di piazze, vicoli, saracinesche, attimi colti dal quotidiano delle strade, scritte e architetture della città di Roma, catturate dall’applicazione Googlemaps, pervadono la parete in forma di piccole lastre di ceramica grès, su cui è sovraimpressa l’immagine fotografica e il colore, previa cottura, in una tecnica sperimentale ideata dell’artista.
Uno spazio conosciuto e percorso abitualmente, disposto come un frammento musivo, sopravviene a cromie infuocate o virate di blu, emerge tra paesaggi siderei, deserti e cascate, modificando la percezione ordinaria della realtà ed espandendo i confini di un disegno urbano che si fa nuovo territorio, nuovo linguaggio e nuova visione in cui la città è sorpresa, ridefinita, sconosciuta o scoperta di nuovo nelle sue forme, nei suoi grovigli, nelle sue infinite, imperfette, a volte drammatiche identità .
Nelle opere di Vincenzo Simone l’essenza pittorica si nutre di pennellate leggere, ma presenti, misurate e minuziose, che indagano il mondo intimo degli oggetti, delle forme floreali, delle trasparenze e delle fluidità .
Velature e tonalità tenui compongono una poesia sottile, un ordine delicato che sancisce il dolce abbandono all’ode armonica ed equilibrata di un quotidiano appartato e composto che guarda alle nature morte di Paul Cèzanne e Giorgio Morandi, alla solennità e all’articolazione dello spirito in rapporto alle reazioni sensibili.
Le opere Three positive and Negative Cognitions I e Three positive and Negative Cognitions II di Riccardo Beretta, come in un asse cartesiano di misurazione dell’equilibrio emotivo, ricamano in un lettering decò, intersezioni coordinate di fili di coscienza che costruiscono lo spazio analizzabile della psiche.
Frasi ricamate su seta rimandano e integrano polaritĂ positive e negative collegate in filamenti di architetture neuronali in grado di attuare una ristrutturazione della valutazione cognitiva e risolutiva del conflitto.
Nella serie Never say Bullshit l’artista rielabora, in arazzi di velluto dipinti, la frase di Alighiero Boetti scritta nel 1990 sul poster di Jenny Holzer, firmato come sua opera, al Padiglione Americano della Biennale di Venezia, in risposta al progetto di Maurizio Cattelan di collaborazione tra artisti.
Gli arazzi, pensati per ogni mese del 2020, esposti in sette esemplari, si pongono come omaggio ad Alighiero Boetti e come monito al periodo complesso che viviamo, in cui le parole hanno un peso inequivocabile, che l’artista rileva e risalta in ricami netti su campiture accese.
Nelle opere di Stanislao Di Giugno bidimensionalità e tridimensionalità , sovrapponendosi nel tempo e nello spazio, definiscono l’atto percettivo e la lettura di campiture in ritmi geometrici di luci e ombre, vibrate in cromie corpose e volumetriche, da cui emergono le trame di superfici sottese, congiunte a linee e stratificazioni successive composte nelle pieghe reiterate della tela, nelle demarcazioni e bordure di texture sottrattive del colore.
La mostra cattura lo sguardo in cromaticità e intimità della visione, presentando progettualità e lavori rigorosi in cui emerge una spazialità ricercata, costruita nell’armonia di linguaggi poetici e tecniche raffinate.
Quadreria programmata per il mese di marzo 2020 e sospesa per l’arrivo della pandemia, è visitabile esclusivamente su appuntamento fino al 21 Dicembre 2020.
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