In un momento tanto complesso come questo, l’inaugurazione e la successiva apertura della Quadriennale di Roma 2020 sono sembrate a tutti quasi un miracolo. Il Palazzo delle Esposizioni si è mostrato come un luogo pronto ad accogliere ospiti e pubblico in totale sicurezza, garantendo una visione di una mostra in assoluta serenità.
L’edizione 2020 della Quadriennale di Roma, a cura di Sarah Cosulich, anche direttrice artistica della Fondazione La Quadriennale, e Stefano Collicelli Cagol, si intitola “Fuori”, intendendo un concetto di sguardo che, come si legge, «è emblematico del tipo di sguardo proposto dai curatori». Fuori da ogni logica, dunque, pensare che si tratti di una semplice Quadriennale, che in sé ha il senso della rassegna ed è per questo si tiene ogni quattro anni. Questa è una vera e propria mostra.
Ma partiamo dall’allestimento, interessante e ben strutturato, che ha stravolto il Palazzo ma che ha reso fluido il percorso obbligatorio, dovuto al momento storico, realizzato da Alessandro Bava. Poi i numeri: 43 artisti in mostra, suddivisi in 35 sale, 18 nuove produzioni. Ci sono diverse sale monografiche, che probabilmente sono quelle più interessanti.
In mostra non ci sono solamente artisti, come abbiamo detto, ma la linea curatoriale ha ricercato fortemente una sinergia tra le varie arti, per cui la mostra si apre con Cinzia Ruggeri, che è artista ma anche stilista e designer. Molto interessante la sala con le opere di Irma Blank (presentate già nel 1992 al Pac di Milano) e il lavoro a terra di Micol Assaël, in cui viene ricreato un paesaggio mentale grazie ad un circuito di bachelite in cui l’artista ha inserito anche dei dadi di marmo bianco. Seguendo il percorso obbligatorio si viene introdotti in una sala con delle bellissime fotografie di Lisetta Carmi, che forse molti di noi avevano già visto. Memorabile il video di Monica Bonvicini, che forse su tutto ha la meglio. Un lavoro forte intenso vigoroso, del 2009. Dal piano terra si sale poi attraverso le scalinate, dove si incontra il delicato murales di Amedeo Polazzo.
Nelle sale inferiori, le ultime destinate alla visione, la mostra «apre alle ricerche che attuano un utilizzo della pittura in senso più ampio, travalicando i confini del medium». Ed è lì che si vede un’enorme fragola, al cui interno troviamo una persona, un pirata, che intravediamo attraverso dei piccoli fori. Il lavoro è di Valerio Nicolai, pittore che già altre volte ci aveva restituito il suo linguaggio attraverso opere scultoree. Interessante, fosse anche solo perché sono esposte tutte opere realizzate nel 2020, la sala di Guglielmo Castelli.
Insomma, tanta multidisciplinarietà, generazioni diverse di artiste e artisti, alcuni anziani, altri giovani, opere realizzate ad hoc, altre abbastanza datate. Difficile farsi un’idea chiara di questa Quadriennale, bisognerà tornarci più volte ma non sarà proibitivo – covid-19 permettendo – anche grazie alla sponsorizzazione di Gucci, che ha reso gratuiti i biglietti per tutti. Dicevamo che bisognerà tornarci, perché, perlomeno a chi scrive, è mancata l’empatia.
Che dire dunque? È un primo sguardo e si tratta di una mostra troppo ampia per poterla giudicare velocemente. Rimane la sensazione di un ottimo lavoro svolto, anche e soprattutto a livello allestitivo, che ci restituisce una idea chiara dell’idea dei due curatori che, però, fatica ad arrivare nell’anima. Ma chissà, magari questo tempo è oramai finito, e l’arte è pronta a svolgere un diverso e nuovo lavoro.
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