«Queste due nuove mostre di Quotidiana sono la prova che stiamo crescendo, abbiamo iniziato con progetti monografici e ora siamo arrivati a quello che ci interessa di più: approfondire tematiche e sperimentare», con queste parole, Gian Maria Tosatti, direttore artistico della Quadriennale di Roma, ha commentato i progetti espositivi recentemente presentati negli spazi di Palazzo Braschi, nell’ambito delle attività promosse dall’istituzione romana. «Noi non siamo un museo, ma un laboratorio, dunque facciamo ricerca. Non mi era ancora capitato di approcciarmi con degli studi di questo calibro sul post-monument in Italia e anche Iacopo Rinaldi, legato al concetto di archivio, gli ha dato un taglio nuovo, arrivando a un esito estetico interessante».
Nella sezione “Portfolio”, giunta alla sua nona edizione, fino al 4 giugno sono ora fruibili le opere dell’artista Jacopo Rinaldi (Roma, 1988). Ad accogliere il fruitore, una coppia di immagini stampate su vinile specchiato. Si tratta della riproduzione di due delle cinque fotografie trovate indosso all’anarchico Renato Bresci, quando fu arrestato dopo aver ucciso re Umberto I di Savoia, la sera del 29 luglio 1900.
Una figura controversa quella di Bresci, sulla quale Rinaldi si focalizza per riscoprirne la storia, rimasta tra il visibile e l’invisibile, proprio come le sagome delle sue fotografie tra i riflessi degli specchi. Sembra esservi da parte dell’artista la volontà di riscattare Bresci non tanto dalla condanna per omicidio, ma dall’etichettatura cui fu sottoposto. L’Ambasciata Argentina infatti, subito dopo l’attentato, richiese le fotografie che l’uomo aveva con sé, portatrici delle sue impronte digitali, per avviare i primi studi comparati, pseudo-scientifici di antropologia criminale. Non è un caso che Rinaldi abbia scelto di incassare nel muro un libro di Cesare Lombroso, “Gli anarchici. Psicopatologia criminale d’un ideale politico”, come a volerne soffocare le derive.
È una curatrice straniera, Marie-Therese Bruglacher, a occuparsi questa volta della sezione “Paesaggio”, portando l’artista Ryts Monet (Bari, 1982) e il collettivo Alterazioni Video (Milano, 2004) a lavorare sul tema dell’anti-monumentalità presente nell’arte italiana. Gli artisti sono stati invitati a osservare il monumento come una presenza controversa del nostro presente, di cui non è chiara la funzione. Un tema complesso che, se banalizzato, rischia di sconfinare nelle terrifiche e candidamente ree lande della cancel culture.
Ma non è il caso di Ryts Monet che se sembra guardare con sospetto l’obelisco, in quanto principale simbolo della storia coloniale, ne perdona le lontane implicazioni, offrendo allo sguardo del fruitore una grande cianotipia sacralizzante, di cui un video testimonia la poetica fase processuale.
Il collettivo Alterazioni Video invece si sofferma sull’incompiuto siciliano, proponendo tre stampe con edifici desunti dal sud Italia e rielaborati secondo forme curiose. Aggregati metafisici proiettati in un cielo artificiale. Costruzioni disfunzionali, anti monumentali in quanto espressione di un fallimento e tuttavia per questo, in qualche modo nuovamente monumentali.
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