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Quale legame tra arte e cibo? Rispondono gli esperti
Arte contemporanea
Ha inaugurato presso la Galleria Micro Arti Visive di Roma, la mostra intitolata ALFABETO OBIC. Mangiare l’arte, contemplare il cibo. La rassegna è stata preceduta da una live performance e dall’esposizione straordinaria delle opere e delle immagini della OBIC photo Collection.
La mostra e la performance sono state magistralmente curate da Anna Paola Lo Presti e Gianluca Marziani, ed espongono al pubblico, opere di Roberto Giacomucci, Giulio Marchetti e Mario Ricci, oltre a una serie di opere fotografiche della OBIC photo collection di cui tre inediti realizzati proprio per l’evento e per la mostra di Roma.
OBIC è un innovativo progetto culturale, editoriale ed espositivo «un alfabeto che nasce per creare una nuova dimensione dell’opera d’arte, una nuova lettura, una nuova codifica, qualcosa di non ancora interpretato, ma che esiste e, soprattutto, che può regalare allo spettatore uno strumento inatteso con cui osservare e leggere l’arte. L’arte e il cibo sono il binomio che in assoluto rappresenta quel patrimonio di idee tutto italiano. Un patrimonio che finora non ha trovato spazi dove dialogare con intensità creativa» spiegano gli organizzatori, con cui abbiamo approfondito l’identità del progetto.
Come nasce l’idea di questa mostra?
Abbiamo cercato i migliori spunti di ragionamento su arte e cibo come mai si era immaginato prima. Tutto è nato con il volume cartaceo e poi la mostra che consideriamo il nostro numero zero, un evento d’accensione che organizzammo a Palazzo Collicola Arti Visive di Spoleto per dare forma viva al libro. Da quel momento è iniziata la costruzione di ALFABETO OBIC, quasi a tracciare le radici fondative che stanno dietro ad ogni legame tra cibo e cultura. Ci interessava rilevare il codice del gusto nelle opere d’arte e nei processi artistici, un quid alchemico che indagasse l’essenza oltre il mangiare, un’estetica del cibo che aprisse lo sguardo e riportasse il focus su ingredienti primari e composizioni universali, mai descrittive ma orientate al sublime della contemplazione, allo sviluppo sinestetico del concetto stesso di NATURA MORTA.
In che maniera cibo ed arte possono dialogare fra loro?
Il cibo e l’arte hanno sempre dialogato tra loro, in primis con la descrizione iconografica e i modelli compositivi nel rito pittorico delle nature morte. Poi ci sono taccuini o ricettari che sono stati redatti nei secoli ma anche le esperienze del Futurismo di Marinetti, la prima avanguardia che inserì il cibo tra le forme abitabili del vivere ad arte. Poi esiste il sentimento delle azioni dell’uomo quando lo coltiva o lo trasforma, l’atto di coltivarlo è opera inconsapevole ma è opera naturale, l’atto dell’uomo che tocca l’essenza è esso stesso opera.
È possibile rintracciare sinergie tra questi due linguaggi?
Lo scatto fotografico di OBIC è una composizione connessa alla storia dell’arte, è un racconto alchemico di unione silenziosa tra arte e cibo, un punto d’incontro tra processi che si sublimano nell’essenza fotografica. Andare oltre il puro mangiare, tornare all’essenza per rappresentare le nuove ambizioni ecologiste dell’uomo contemporaneo, per ritrovare un posto nel mondo mentre si immagina una diversa forma del mondo stesso. OBIC rilancia, attraverso l’anima degli artisti, uno spunto di ragionamento che vuole nutrire l’essenza e tornare al dialogo.
Il 21 marzo si è svolta la performance che ha aperto il progetto. Potete raccontarci qualcosa su questo momento?
La performance è l’atto pratico di OBIC, essenza sensoriale dove l’anima del progetto entra nella ricetta che si palesa sulla tavola di OBIC. È il nostro BENEVENUTI ALLA TAVOLA DI OBIC. Abbiamo messo in scena il pensiero di OBIC, ambientando l’estetica del cibo in una visione rinnovata del convivio, dello scambio, dell’intimità condivisa. Per creare la ricetta ispirata al lavoro del singolo artista, sono stati prima rilevati gli ingredienti che l’opera ci ispirava, sorta di scala materica, cromatica e figurativa che abbiamo condiviso con lo chef. A quel punto è nato un oggetto commestibile che ha fuso l’anima del cibo con lo spirito dell’opera, ricreando un sistema immaginativo e simbolico che avesse un effetto prima estetico e poi biologico. L’interpretazione delle opere di Roberto Giacomucci, Giulio Marchetti e Mario Ricci ha dato forma a tre nuove nature morte, a loro volta oggetto dei nostri scatti fotografici. Ecco come sono nate le tre nuove immagini di ALFABETO OBIC.
In senso lato, è possibile mangiare un’opera d’arte? Se è sì, come?
Si, si può mangiare un’opera d’arte. Il cibo è cultura in una sua forma antropologica ed etnografica, talvolta poi fa un salto e diventa opera se lo interpretiamo per renderlo contemplativo ed evocativo, frutto vitale di un pensiero che si fa volume in equilibrio. La mia lunga esperienza nel mondo del cibo e l’altrettanto lunga carriera di Gianluca Marziani nell’arte ha permesso una speciale unione di forze tra due ambiti così amplificabili.
Ovvero?
Si trattava di disegnare una nuova via rispetto a ciò che di solito vediamo davanti alla semplice documentazione del cibo. Il cibo riveste un valore immenso ma lo dimentichiamo ogni volta che lo andiamo a strumentalizzare. Gli artisti ci aiutano a cambiare il punto di vista, ad entrare in un rito contemplativo che presuppone analisi e ragionamento, unione di nuovi pensieri per tornare alla contemplazione condivisa, al rito essenziale di un atto poetico che trasformi il pensiero di un artista in ricetta, utilizzando ingredienti d’ispirazione, dando forma all’anima della creazione. Lo scatto fotografico di OBIC racconta il cibo come opera d’arte.
ALFABETO OBIC è un’esposizione con forti richiami alla materia organica delle opere. In che maniera, nei secoli, è possibile rintracciare questa organicità, non solo in relazione all’arte ma anche nell’alimentazione?
Il tema organico nell’arte lo abbiamo scoperto con le nature morte del Seicento ma è stato il Novecento a dissezionare i corpi con molteplicità di argomenti e linguaggi. Nell’alimentazione esiste un tema organico quando il cibo non resta mezzo di consumo ma se ne conserva il valore primario, l’origine e il genius loci. Quando si parla di una zolla di terra non bisogna andare oltre la stessa zolla: con OBIC vorremmo che una zolla restasse zolla, una mela restasse mela, cambiando però lo schema con cui ci rivolgiamo agli ingredienti, trasformando il nostro legame con la struttura stessa del mangiare.