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Quanti mondi siamo? Alla Triennale si cercano risposte
Arte contemporanea
Dopo “Broken Nature” a cura di Paola Antonelli, titolo della XXII Triennale, incentrata sulle emergenze ambientali con l’obiettivo di ricucire il rapporto con la natura in seguito alle quattro crisi globali di questo millennio, il mondo è radicalmente cambiato. Siamo in balia delle varianti del Covid-19 non ancora debellate, la catastrofe ambientale, la guerra nel cuore dell’Europa, crisi di governo, finanziaria, energetica e un drammatico aumento della povertà su scala mondiale, e nonostante i progressi tecnologici siamo sempre più vulnerabili, fragili e incapaci di accogliere l’imprevedibilità del tempo e il mistero del mondo.
La Ventitreesima esposizione internazionale di Triennale nel titolo “Unknown Unknowns. An Introduction to Mysteries”, tradotto in italiano “quello che non sappiamo di non sapere”, presentata con la benedizione del Bureau International des Expositions (BIE) e il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, è un invito a riflettere, includere, rispettare il mistero dell’ignoto. Il Presidente Stefano Boeri ha definito la manifestazione “un arcipelago di mostre”, che inscena l’impossibilità di spiegare tutto, come una componente della vita, mettendo in evidenza l’importanza di porsi domande prima di trovare risposte (fino all’11 dicembre).
Conosciamo solo il 5 per cento dell’universo, il 5 per cento delle sinapsi cerebrali e fino a un secolo fa, credevamo che l’unica galassia fosse la Via Lattea, invece non conosciamo il 95 per cento di questo universo, ancora non visibile, né possiamo spiegarlo.
L’introduzione al mistero è il tema di questa esposizione internazionale che diversamente dalle biennale di Venezia è inclusiva e non crea barriere tra le arti e le scienze in rapporto alla società e alla natura. Oltre 400 artisti e designer di 40 Paesi del mondo, 23 partecipazioni internazionali con la forte presenza del continente africano occupano interamente il Palazzo dell’Arte di Giovanni Muzio della Triennale, che nel 2023 compie 100 anni. L’affascinate tema si declina in una costellazione di mostre, con 8 curatori liberi di inscenare diverse visioni sull’incognita del futuro, di taglio multidisciplinare e multidimensionale tipico della Triennale.
Il viaggio nell’ignoto incomincia al piano terra con il ‘Portal of Mysteres”, un grande portale dove il filosofo Emanuele Coccia ha riassunto il senso dell’esposizione; a Palazzo dell’Arte sono tante le cose da vedere, si consiglia non in una volta sola.
La mostra principale è al primo piano “Unknown Unknowns” a cura di Ersilia Vaudo, astrofisica dell’Esa (Agenzia Spaziale Europea), con gli allestimenti firmati da Joseph Grima in materiali poveri e riciclabili dei cantieri della Triennale, realizzati con stampanti 3D, con il suo studio Space Cavier, dove oltre 100 opere intrecciano dialoghi sottesi tra arte, scienza e design sul tema della consapevolezza di non sapere, in cui ci sentiremo piccoli di fronte all’immensità dell’universo.
Il percorso espositivo si apre con un’installazione sonora di Yuri Suzuki che riproduce una moltitudine di voci da tutto il mondo (raccolte attraverso il sito soundofthearth) simbolo di una comunità globale, rappresentata da suoni. Ipnotizza una Fuga in Egitto (1609) di Adam Elsheimer, primo pittore a dipingere sopra la Sacra Famiglia la notte stellata, così com’è, via Lattea inclusa e si chiude con una scultura digitale in computer grafica dello scontro che avverrà tra 4 miliardi di anni tra Andromeda e la Via Lattea di Refik Anadol. Sarà una collisione apocalittica di astri, inevitabile, poi tutto cambierà.
In mezzo tra un lavoro e l’altro, pullulano forme germinanti che attraversano lo spazio e il tempo, formule matematiche, ampolle d’acqua, sfere d’argilla crepate e scolpite a mani nude da Bosco Sodi definite dalla gravità a confronto le immagini della cometa Churyumov-Gerasimeno conquistata da un robot Esa nel 2014. Incantano gli ambienti extraterrestri simulati studio BIG, le carte nautiche rudimentali e sofisticate delle isole Marshall realizzate con bastoni, fibre e conchiglie.
Tra le altre opere si riconosce l’autoscatto di Bruce Nauman, il Mappamondo (1966-1968) di Michelangelo Pistoletto, pulsante di energia in un modo di carta di giornale ingabbiata nel metallo, c’è Alighiero Boetti e ipnotizza l’installazione di Tomas Saraceno con il cono di luce in una stanza buia che illumina il pulviscolo invisibile ad occhio nudo e gravita nell’aria. Jan Hosan presenta uno scatto del 2018 nella miniera di Kamioka, Giappone, dove 11mila sfere sospese su acqua purissima indagano l’antimateria, al 1665 risale la prima edizione, quella in mostra e del 1678 del Mundus Subterraneus di Athanasius Kircher, atlante che metteva in correlazione il corpo e gli organi umani. Così tra galassie che esplodono, metrologie varie e manufatti stampati in 3D, un paesaggio matematico e poetico di Andrea Galvani, formule che dimostrano l’impossibilità di dimostrare ciò che non sappiamo di non sapere, ciascuno troverà frammenti d’ignoto che preferisce.
Ad affiancare la mostra principale, al piano terra si trovano 20 padiglioni internazionali, di cui sei sono stati realizzati da pesi africani, coinvolti anche grazie al contributo dell’architetto Francis Kéré, main curator della manifestazione, premiato nel 2022 con il Pritzker Prize, autore di Yester day’s Tomorrow, la torre di 12 metri esterna alla Triennale, dipinta riprendendo i pattern dell’architettura del Burkina Faso, suo paese d’origine . L’architetto mette al centro dei suoi progetti sostenibilità dei materiali e processi umili e collaborativi di produzione in cui utopia e pragmatismo coesistono, concetto che si materializza in un muro dal titolo Drawan Together. Tra gli altri padiglioni spiccano le artiste del Burkina Faso, autrici di splendidi affreschi in diretta e il padiglione Rom e Sinti , con l’installazione E l’una non si muove senza l’altra dell’artista slovacca Emilia Rigova, mentre quello dell’Ucraina è una specie di casa in costruzione o in demolizione, chissà ? Nelle fotografie esposte tutto è cambiato e da ricostruire, inclusi i rapporti umani lacerati dalla guerra. Assente la Russia, a cui è stato ritirato l’invito una settimana dopo l’invasione dell’Ucraina. Il premio speciale Bee Awards è stato assegnato al padiglione dei Paesi Bassi per “Ci siamo incontrati?”. Il secondo premio l’ha meritato il padiglione del Messico per “Saggio di Flora Onirica”, il terzo premio è stato destinato al padiglione del Kenya, intitolato “Ujumbe”.
Le altre due grandi mostre da vedere con calma sono: “Mondo Reale”, ideata da Hervè Chandès, Direttore Artistico Generale della Fondation Cartier pour l’art contemporain, dove tra gli altri lavori esposti c’è l’iconica Man Boat (2002) di Ron Mueck: un uomo nudo su una barca che fissa il vuoto, Patty Smith che ci ipnotizza con la sua installazione sonora: la lettera di un testo del matematico russo Misha Gromov su The Four Mysteries of the World, dalla natura delle leggi fisiche alla vita , a cui la cantautrice aggiunge un quinto mistero quello della poesia. Tra gli altri progetti speciali, c’è un intervento di David Lynch, che ogni giorno alle 19 dalla sua casa di Los Angela dirà che tempo fa.
Anche la mostra “Tradizione del nuovo”, curata da Marco Sammicheli, Direttore del Museo del Design Italiano di Triennale, il Padiglione Italia nell’ambito della 23esima Esposizione che presenta con 800 oggetti la storia della Triennale dal 1964 al ’96 e da a godere con calma, dove scoprirete alcuni tra i progetti più innovativi realizzati dai grandi maestri del design italiano, valorizzati da un set di design dello studio Zaven.
È imperdibile e affascinate la mostra “Il Corridoio Rosso”, una meravigliosa ricostruzione quasi cinematografica di un interni di una casa borghese, a cura di Margherita Palli, al piano terreno, dove s’intrecciano misteriosamente in un dedalico percorso finzione e realtà con opere e allestimenti originali e ricostruiti davvero immaginifici, da perdersi e di sublime bellezza.
Parte integrante della manifestazione sono anche le installazioni e i progetti speciali che coinvolgono gli storici dell’arte Giovanni Agosti e Jacopo Stoppa, il musicista Francesco Bianconi, il filoso Coccia, la ricercatrice e docente del Dipartimento ABC del Politecnico di Milano Ingrid Paoletti, l’artista Grand Invité Romeo Castellucci, il maestro del design Andra Branzi, con l’architetto Lapo Lani.