17 maggio 2021

Quattro idee. Aasan, Halley, Monk, Nannucci – Galleria Astuni

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Riproporre la realtà vissuta e interiorizzata, nel suo rapporto e confronto con il mondo: ecco le idee, le forme e le poetiche di quattro protagonisti del contemporaneo alla Galleria Astuni

Øystein-Aasan, ph. Michele Alberto Sereni

Quattro idee è la mostra a cura di Lorenzo Bruni in corso fino al 05 giugno presso la Galleria Astuni di Bologna. Quattro le idee dei quattro artisti protagonisti: Øystein Aasan (1977, Kristiansand, Norvegia), Peter Halley (1953, New York), Jonathan Monk (1969, Leicester, UK) e Maurizio Nannucci (1939, Firenze) differenti tra loro per età e paesi di appartenenza. Il filo conduttore che accompagna lo spettatore attraverso lo spazio espositivo è il modo di riproporre la realtà vissuta e interiorizzata dai singoli artisti, nel loro rapporto e confronto con il mondo, esprimendoli tramite diversi mezzi espressivi, che spaziano dalla pittura, alla fotografia, all’installazione, all’architettura. Due gli elementi caratterizzanti le opere: il colore, che si fa portavoce degli stati emotivi vissuti dagli artisti, trasmettendo la vibrazione interiore percepita, dando forma e definizione al pensiero e all’idea dell’artista e il paesaggio, non figurativo, ma mentale, rielaborato attraverso la propria riflessione sulla realtà e sullo spazio percepito.

Øystein Aasan e Maurizio Nannucci, ph. Michele Alberto Sereni

Il norvegese Øystein Aasan riflette nelle sue opere i concetti e le basi dell’architettura nordica, andandola ad arricchire con la presenza di vecchie immagini di edifici ed opere andati perduti durante la seconda guerra mondiale, al fine di conservarne la memoria, preservandola dalla dimenticanza come ad esempio nell’opera Vehicle realizzata a partire da negativi fotografici donatigli dall’Accademia di Arte di Oslo. Ma l’artista è interessato anche al catalogare e all’archiviare, coniugando nella stessa opera diverse funzioni, come in Double Sitz (2019), panca per seduta e archiviazione di documenti e libri.
Per Peter Halley la geometria, la schematizzazione della realtà in forme geometriche, rappresenta il mezzo espressivo di maggior efficacia. I colori fluo delle superfici e delle parti a rilievo, creano un chiaro rimando alla Pop Art e sono realizzate con la tecnica del Roll-a-Tex, che agevola la sovrapposizione del senso claustrofobico alle linee rigorosamente geometriche. Eloquenti, infatti i titoli delle opere, quali ad esempio: Black Prison e Blue Prison (2013). Da qui la riflessione sulla condizione dell’uomo contemporaneo, che, nonostante le infinite possibilità che l’attuale società gli offre, si trova ad essere imbrigliato e vittima degli strumenti generati dall’evoluzione tecnologica.

Jonathan Monk e Maurizio Nannucci, ph. M.A.Sereni

La riflessione sull’oggetto reale quale opera d’arte o meno, è portata avanti da Jonathan Monk, da sempre interessato alle teorie artistiche degli anni’60, del concettuale e del ready-made, che nelle sue opere sono solo un punto di partenza, in quanto egli le ribalta, attraverso la rilettura di avvenimenti, immagini, stili e forme differenti. Nell’installazione Untitled (Oranges fpr JB) I-XII, 2020, infatti, egli propone delle arance, in una variazione di colore, per nulla naturale. Attraverso uno studio meticoloso sulla realtà e sugli oggetti che la compongono, egli realizza le sue opere da cui trapela anche la riflessione sulla velocità delle informazioni raccolte negli archivi digitali e in continuo mutamento. L’installazione Ieri, oggi, domani, eccetera… (2016), ne è un eloquente esempio e, come sostenuto dall’autore stesso: ”È da un po’ di tempo che cerco nel passato-rivisitandolo o guardando in esso – per vedere il futuro. Per me è sempre interessante guardare come gli artisti cambiano la loro pratica o come non la cambiano. Ogni caso è diverso: alcune idee rimangono le stesse osservate in forme diverse, e alcune forme rimangono le stesse, ma le idee sono completamente diverse”.

Quattro idee, Peter Halley

La riflessione sul reale di Maurizio Nannucci, prende avvio dallo studio del linguaggio, nel suo aspetto grafico e formale, da cui nascono i suoi Dattilogrammi realizzati con una Olivetti Lettera 22, definita dall’artista, la sua “mind machine (…); assieme al foglio di carta bianca o colorata, supporto privilegiato su cui una parola o un segno dovevano essere strutturati quali pure forme geometriche, nella loro specificità lineare e minimale”. Da questa riflessione prendono vita i neon, di cui alcuni presenti in mostra, come Idea (1992) e Out of the Blue (1993). La riflessione, tuttavia, prosegue sulla trasformazione del linguaggio stesso a seconda del contesto e i mezzi con cui viene espresso ed esposto. Grazie a ciò la parola, il linguaggio, suscitano forte interesse nello spettatore, che si trova ad essere immerso in una dimensione poetica e totalizzante. L’artista, inoltre, ama moltiplicare le sue opere, attribuendo a tale gesto la democratizzazione dell’arte, che consente di coinvolgere un maggior numero di persone. Rappresentativa di ciò è l’opera Bag Book Back (1995-in corso), serie di fotografie che ritraggono persone che usano l’edizione-borsa dell’artista nel mondo.
Le diverse forme espressive prescelte dagli artisti diventano fondamentali per la comunicazione di “Quattro idee”, che seppur differenti sono accomunate da una profonda riflessione sul presente, sul tempo interiorizzato e sul rapporto dell’artista con il mondo e l’uomo contemporaneo.

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