La mostra “Quello che non ho mai detto” di Davide Dormino, a cura di Pietro Gaglianò presso Curva Pura, si staglia come enigma visivo racchiuso in una pura presenza, in una rappresentazione della superficie volumetrica, profonda e variabile alla luce e alla prospettiva, che cela un’interiorità inespressa, un frammento di storia taciuta dal tempo, involta in forma cicatrizzata, resa invulnerabile e restituita a nuovo significato.
L’opera scultorea di Davide Dormino negli spazi di Curva Pura si innesta come elemento sostanziale e inscalfibile, attirante e respingente insieme, nell’immediatezza dell’incontro dialettico con il fruitore: un dialogo frontale, richiamante un corpo a corpo figurato, con la sua presenza conchiusa, fortezza all’apparenza inespugnabile che si impone nella sua realtà corporea, nel suo maestoso mostrarsi, nella marcatura volitiva dello spazio.
La fermezza dominativa della scultura longitudinale conduce alternatamente l’osservazione dal paradigma visivo a quello tattile, in una percezione contigua che interroga la materia, le sfumature cromatiche, le linee riflettenti di un’oscurità metallica ipnoticamente seduttiva, pur se invalicabile e inaccessibile.
Le realtà fisiche dell’opera e dello spazio in cui si colloca instaurano un rimando, un combattimento e un’intersezione di angoli, punti di fuga, prospettive, orientamenti e cromie, in un coinvolgimento totale tra opera e contesto, rimando ispirativo alla purezza minimalista.
In un periplo visuo-aptico lungo la struttura trasversale, l’atto esplorativo e conoscitivo con l’opera approda ad un piccolo occhio magico rivelatore di uno scrigno, uno spazio simbolico che custodisce un’anima perlacea: preziosa rarità contenuta nel segno scultoreo estensivo.
L’opera, intitolata Incluso, è l’adito da cui accedere alla profondità ermetica e tensiva di una suggellata confidenza in cui riconoscere e serbare il proprio prezioso dolore, riposto in una struttura accentuale che si schiude alla coscienza come incontro di forme simboliche e complementari, congiunte in una metafora fisica di richiamo mnestico.
La perla, intima concrezione generata attorno ad un nucleo estraneo, è conoscenza riposta, sapienza esoterica, dolore trasposto in virtù fortificante, atto creativo imperituro che elabora una ferita inferta nell’osservazione e apertura verso l’esterno, il mondo, l’alterità .
L’artista, nella dichiarazione di una intrinseca e inconfessata fragilità , libera un volitivo e tenace atto di resistenza, una consapevole esperienza dentro gli abissi del sentire e lungo le tracce del proprio percorso artistico, arrivando al fondo vibrante di una poetica energica e vitale, che svela il proprio io, messo a nudo e offerto all’occhio dell’osservatore, disposto a varcare una strettoia, a sollevare l’opercolo e guardare, riconoscendo una stessa condizione, un proprio prezioso tormento mutato in principio, in nucleo generativo.
Il percorso circolare compiuto nello spazio, intorno e nel cuore dell’opera accomuna storie carpite solo dallo sguardo, diverse e celate alla parola che non può rivelare, in un vincolo di segretezza e complicità , di riserbo e premurosa cura per il mistero di un processo di cristallizzazione, di mutazione in nuovo tesoro, per una possibile navigazione, oltrepassando e racchiudendo l’impurità :
«Tante cose accadono a coloro che si tuffano in fondo al mare. Le stesse perle sono frutto del mistero e dell’avventura: chi segua la carriera di una perla raccoglie tanto materiale da far cento favole.
E le perle sono come le favole dei poeti: un malanno trasformato in bellezza, e allo stesso tempo trasparente e opaco, segreti del profondo portati alla luce…», come scriveva Karen Blixen ne Il pescatore di perle.
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