L’innesco è stato una richiesta di Miuccia Prada: «parlare d’arte antica come se fosse contemporanea».
Da qui, la deflagrazione costruttiva di un dialogo, teorico e concreto, di cui finora si è assistito ai (primi?) tre atti.
L’ultimo è Recycling Beauty, presentato il 16 novembre dai suoi protagonisti Salvatore Settis e Rem Koolhas, introdotti da Chiara Costa, Head of Programs di Fondazione Prada, in cui l’archeologo e l’architetto hanno raccontato con tocchi d’ironia le reciproche visioni e le “incursioni” nel territorio dell’altro.
«Non ho mai ammesso prima la mia passione per lavorare con l’antichità», ha “rivelato” Koolhaas, rendendo manifesto il segreto del suo allestimento, convergente con l’esposizione sul riuso, dal Medioevo al Barocco, di antichità greche e romane.
«L’arte o non esiste o è sempre contemporanea -ha esordito Settis, curatore del progetto espositivo- Per questo siamo partiti anni fa da categorie familiari al mondo contemporaneo, come la serialità, declinandole attraverso l’arte antica».
Il primo episodio era stato infatti Serial Classic del 2015, curato da Settis come mostra d’esordio in Largo Isarco, area industriale riconvertita integralmente dallo studio Koolhaas/OMA negli attuali spazi milanesi della Fondazione.
Poi è stata la volta di Portable Classic, che ha rivisto all’opera la “strana coppia” a Venezia: fonte di ispirazione la portabilità dei nostri oggetti quotidiani.
Per il terzo capitolo è stata la categoria del riciclo a essere estesa dall’oggi al mondo antico, universo tutt’altro che statico e in continua metamorfosi. «Il taglia-e-incolla non è un’invenzione del presente», ha sottolineato Settis, citando alcuni esempi in mostra, tra cui la coppia di statue il Moro Borghese e La Zingarella, ricomposte a Roma dal francese Nicolas Cordier con frammenti antichi ibridati da parti di sua creazione. «Queste opere sono al contempo del I secolo e del XVII», ha chiarito lo storico dell’arte, similmente alla Santa Ifigenia di Palazzo Chiericati a Vicenza, la cui testa del I secolo d.C. è stata “ricongiunta” al corpo creato da uno scultore veneto nel XVI secolo, autore non solo di un salvataggio di bellezza, ma anche dello slittamento semantico tra paganesimo e cultura cristiana. «È stata l’occasione per la “ragazza” di rimettere la testa a posto» ha ironizzato Settis, esplicitando altresì l’obiettivo serio di Recycling Beauty: riunire la meraviglia con l’avanzamento scientifico nella comprensione di quei capolavori.
«Le mostre curate da Salvatore sono sempre fonte di discussione, anche polemica -ha ricordato Rem Koolhaas- Negli spazi del Podium e della Cisterna, però, ci siamo presi insieme la libertà di giocare con l’antichità e con l’arte, senza la pressione del politically correct».
Del resto «non esiste documento di civiltà che non sia al tempo stesso un documento di barbarie» si legge nell’Angelus Novus di Walter Benjamin, citato da Settis per rimarcare come il riciclo implichi un’idea di crisi. «Le statue in pietra venivano impiegate per costruire edifici e i bronzi, tra cui alcuni di Lisippo, fusi nel disperato bisogno di metalli per pentole e monete». La bellezza si è messa in salvo soltanto quando è stata riconosciuta e riutilizzata, quando latrine sono divenute scranni papali o imperatori romani sono stati “riconvertiti” con attributi di santi, quando i marmi antichi sono stati frantumati e ricomposti secoli dopo nelle pregiate composizioni “cosmatesche”.
S’ipotizza persino che la colossale statua di Costantino, alta 11 metri e ricostruita per la prima volta in occasione della rassegna, derivi dalla raffigurazione di un dio, a cui venne “tagliata la barba” per maggiore somiglianza con l’imperatore. «L’allestimento ci permette di guardare il condottiero cristiano negli occhi», chiosa Koolhaas, grazie all’accesso dai balconi della Cisterna.
«Ogni pezzo ha la sua biografia –conclude Settis- che qui abbiamo voluto raccontare dal vivo, grazie alle scrivanie pensate da Rem, davanti a cui, invece dei libri, ci sono dei pezzi di storia».
Per un serio divagare tra studio e stupore.
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